IL PIANETA TERRA: L’IDROSFERA
Quando la Terra non si era ancora
solidificata, non vi era acqua sulla sua superficie. Forse nell’atmosfera era già
contenuta una certa quantità d’acqua, ma una parte sicuramente maggiore era
disciolta nel magma. Con il progressivo raffreddarsi della superficie terrestre
l’acqua presente nel magma fu espulsa, in particolare sotto forma di vapore
acqueo, attraverso le eruzioni vulcaniche. Miliardi di anni fa la condensazione
e la successiva precipitazione del vapore acqueo sotto forma di pioggia
permisero la formazione dei mari.
L’emissione di vapore acqueo da
parte dei vulcani continua: sappiamo ad esempio che il gas dei vulcani hawaiani
contiene il 79% di acqua.
Il vulcano Kilauea, nelle isole Hawaii, mentre emette gas e vapore
acqueo
L’acqua contiene numerosi sali:
in origine soprattutto il cloro, ma poi anche altri, come il calcio, il
magnesio, il sodio, il potassio. L’arricchimento di sali nell’acqua fu dovuto
all’azione di fiumi e mari che sottraevano questi sali alle rocce.
L’acqua presente sulla Terra forma
l’idrosfera, un involucro che riveste alcune parti del pianeta e ne assume in
superficie la forma sferica. La maggior parte dell’acqua presente sulla Terra
si trova negli oceani, i quali, come si è già detto in una lezione precedente,
coprono il 70% della superficie terrestre. Una quantità importante di acqua è
però presente sotto forma di ghiaccio, in particolare ai due poli e su alcune
catene montuose. La quantità d’acqua presente negli oceani e nei ghiacciai ha
subito nel corso della storia terrestre notevoli variazioni: nei periodi
glaciali esistevano grandi calotte di ghiaccio che coprivano vaste aree dell’America,
dell’Asia e dell’Europa settentrionali, oltre ad alcune catene montuose, quali
le Alpi, il Caucaso e l’Himalaya. In questi periodi il livello degli oceani era
basso, perché l’acqua era presente in maggior parte sotto forma di ghiaccio;
quando i ghiacciai si sciolsero, il livello degli oceani salì. Il livello degli
oceani è destinato a salire ancora nei prossimi anni, a causa del riscaldamento
globale del nostro pianeta, che sta riducendo in molte zone l’estensione dei
ghiacciai. Altra acqua, in quantità di gran lunga minore, si trova nei fiumi,
nei laghi, nelle falde acquifere e nell’atmosfera, sotto forma di vapore.
Ghiacciaio sull’Himalaya
All’interno degli oceani e dei
mari l’acqua varia, anche notevolmente, per temperatura, salinità e densità.
La temperatura superficiale
dipende dal calore ricevuto dal Sole, e perciò dalla latitudine: le acque
equatoriali sono solitamente più calde, quelle vicine ai poli più fredde, tanto
che vaste aree gelano in inverno. Nel corso dell’anno la temperatura varia, ma
solo di pochi gradi: da circa 2° all’equatore, fino ad un massimo di 6°-9°
nella fascia temperata. Questa limitata escursione termica spiega l’influenza
che il mare esercita sul clima delle regioni costiere; infatti la terra si
raffredda e si riscalda molto più rapidamente dell’acqua marina. Va anche
detto, però, che la vicinanza della costa influisce a sua volta sulla
temperatura dell’acqua, tanto che in golfi e in mari interni si hanno
escursioni termiche di gran lunga maggiori: 10°-12° nel mar Baltico, anche 20°
nell’Adriatico, perfino 30° nel mar Giallo, lungo le coste dell’Asia.
Il mar Giallo in Cina
Le variazioni di temperatura si
riducono man mano che si scende in profondità: a 2-3 metri di profondità l’escursione
termica diurna è trascurabile; oltre i 100 metri non vi è più
neppure un’escursione termica annua e la temperatura si mantiene costante per
tutto l’anno. Di conseguenza nelle regioni temperate o equatoriali, dove in
superficie l’acqua viene riscaldata dai raggi del Sole, la temperatura
diminuisce man mano che si scende in profondità; invece nelle regioni polari,
in inverno, quando la temperatura superficiale è così bassa che l’acqua gela,
in profondità la temperatura è maggiore e l’acqua rimane allo stato liquido.
Un orso polare nuota sotto una crosta di ghiaccio
La salinità dell’acqua è il
rapporto tra la massa di sale contenuta in una data quantità d’acqua e la
quantità d’acqua stessa. In media è del 35‰, ma varia da mare a mare. In superficie
la salinità è minima vicino alle foci dei fiumi, dove vi è un grande apporto di
acqua dolce, e in alcuni mari interni soggetti a scarsa evaporazione per il
clima freddo, come il mar Baltico, dove raggiunge valori vicini allo zero. Essa
è invece maggiore in mari sottoposti ad una forte evaporazione: ad esempio in
alcune aree del mar Rosso supera il 40‰.
L’elevata salinità del Mar Morto (in Israele) permette di galleggiare
facilmente sulla superficie dell’acqua
La densità (ossia la massa per
unità di volume) è strettamente collegata alla salinità, in quanto l’acqua è
tanto più densa, quanto più contiene sali disciolti. Essa aumenta anche in
relazione alla profondità del mare.
Le differenze di salinità,
temperatura e densità sono all’origine delle correnti marine. Infatti l’acqua
più densa tende a scendere in profondità e viene sostituita da acqua meno densa
ed è proprio questo movimento che crea una corrente marina. Ma questo movimento
non elimina le differenze esistenti, perché continuano ad agire le cause che le
hanno originate, ossia il maggiore o minore riscaldamento solare, l’apporto di
acqua dolce da parte dei fiumi, la maggiore o minore evaporazione e così via;
per questo le correnti marine si mantengono costanti nel tempo, seguendo sempre
uno stesso percorso.
Un'immagine della NASA con le correnti marine nell'oceano Atlantico settentrionale
Anche fattori esterni come il
vento e le maree possono favorire la formazioni di correnti: il vento (in
particolare gli alisei che soffiano in modo continuo) sono all’origine delle
correnti di deriva, regolari, ma superficiali. Invece le maree provocano
correnti periodiche, dette correnti di marea, che si manifestano ogni giorno
per alcune ore e che si muovono anche in profondità e, soprattutto in aree dove
la costa è frastagliata, possono essere molto forti: la disposizione delle
coste e i rilievi del fondo marino possono deviare le correnti o bloccarle, per
cui le acque in movimento bloccate in profondità tendono a risalire verso la
superficie.
In alcuni casi questi fattori
determinano delle maree di ampiezza eccezionale, come quelle che si manifestano
nel Canale della Manica.
Una marea particolarmente eccezionale sulle coste della Piccardia
(Francia, 2015)
Le correnti marine possono essere
calde o fredde, a seconda della regione in cui hanno origine: dalle regioni
polari provengono ovviamente correnti fredde, da quelle tropicali provengono
correnti calde; esse conservano la loro temperatura anche a grande distanza
dall’area di origine.
Pinguini nell’arcipelago delle Galapagos (Ecuador): la presenza di
questi animali a latitudini prossime all’equatore si spiega con la presenza di
correnti d’acqua fredda lungo la costa occidentale dell’America meridionale
La distribuzione delle correnti
negli oceani è abbastanza regolare, anche se la diversa conformazione dei
continenti provoca alterazioni più o meno notevoli nel loro percorso. In
generale le correnti circolano in senso orario nell’emisfero boreale, in senso
antiorario nell’emisfero australe.
Le correnti esercitano una forte
influenza sul clima, perché spostano grandi masse d’acqua a temperatura assai
diversa da quella delle acque circostanti. È il caso della corrente del Golfo,
che riesce a mitigare il clima dell’Europa settentrionale; oppure della
corrente fredda del Labrador, che bagna le coste nord-orientali dell’America e
rende assai più freddo il clima di queste regioni, tanto che la città di New
York (che pure si trova alla stessa latitudine di Napoli) ha un clima molto più
rigido, con temperature che scendono frequentemente sotto lo zero in inverno.
Bufera di neve a New York nel gennaio 2016
La presenza di correnti è anche
determinante per la flora e la fauna marine: dove si incontrano correnti fredde
e calde, o dove vi sono correnti ascensionali che portano in superficie forti
quantità di sostanze nutritive presenti in profondità, si creano condizioni
ambientali particolarmente favorevoli alla vita di organismi vegetali e
animali. Queste aree, in cui la fauna marina è abbondante, costituiscono le
migliori zone di pesca.
Come le onde e le maree (vedi la
lezione IL MARE E LA COSTA), le correnti sono importanti fattori di erosione
costiera e di modellamento delle coste: esse infatti trasportano, anche a
grande distanza, i detriti che si staccano dal fondo marino e quelli trascinati
dai fiumi nel loro corso.
Spettacolari forme di erosione sulle coste dell’Australia
Le acque che scendono sulle terre
emerse sotto forma di pioggia o di neve vengono assorbite dal terreno oppure
scorrono in superficie sul suolo e si raccolgono in torrenti, fiumi e laghi:
formano cioè le acque interne dei continenti (vedi la lezione LE ACQUE
INTERNE).
Non tutte le regioni del nostro
pianeta sono ugualmente ricche di acque interne: vi sono, ad esempio, ampie
zone prive di fiumi, perché la piovosità è molto scarsa o l’evaporazione molto
forte; esse sono chiamate zone areiche, termine derivato dal greco e che
significa “prive di scorrimento [di acque]”.
Il deserto del Gobi (Mongolia) è una ampia zona areica
In altre regioni sono presenti
fiumi, che però non raggiungono il mare, ma sfociano in laghi chiusi, privi di
emissario: queste regioni sono dette endoreiche (letteralmente “con scorrimento
interno”). Le regioni infine in cui scorrono fiumi che sfociano in mare sono
dette esoreiche (“con scorrimento verso l’esterno”).
Veduta aerea sul lago Ciad, con un’ampia distesa circostante di dune in
parte sommerse dal fiume immissario; il lago Ciad sorge infatti in una zona
endoreica
In Europa prevalgono le regioni
esoreiche e l’unica regione endoreica è il bacino della Volga. In altri
continenti, invece, vi sono vaste regioni endoreiche o areiche, come gran parte
dell’Africa settentrionale, dell’Australia e dell’Asia centrale.
La distribuzione e la portata dei
fiumi presenti sulla superficie terrestre dipendono soprattutto dalle
precipitazioni e dalla presenza di ghiacciai e montagne. Le regioni a clima
arido, come l’interno dell’Australia o l’Africa settentrionale, sono povere di
fiumi: qui le piogge improvvise possono formare torrenti che scorrono impetuosi
per alcune ore, ma che si esauriscono con la stessa rapidità con cui si sono
formati. I rari fiumi che attraversano queste regioni, come il Nilo che scorre
nel deserto del Sahara, provengono da altre regioni, più ricche d’acqua.
Un letto in secca nel deserto della Namibia si è riempito d’acqua dopo
una forte precipitazione
Le regioni a clima umido, come
l’Africa e l’America equatoriali, sono invece ricche di fiumi, i quali possono
avere una portata costante, se sono alimentati da ghiacciai o se le piogge sono
distribuite lungo tutto il corso dell’anno; se piove soltanto in una stagione,
il regime del fiume diventa di conseguenza molto irregolare.
La lunghezza dei fiumi dipende
dall’estensione delle terre emerse e dalla posizione delle montagne da cui
hanno origine. In Asia, dove le principali catene montuose si trovano nelle
zone centrali del continente, scorrono molti tra i fiumi più lunghi della
Terra, quali i fiumi siberiani Ob, Jenisej e Lena, o quelli cinesi, Huang He (o
Fiume Giallo) e Chiang Jiang (o Fiume Azzurro): prima di arrivare al mare tutti
questi fiumi percorrono infatti grandi distanze. In America, dove la principale
catena montuosa si trova a poca distanza dalla costa dell’oceano Pacifico, i
fiumi che scendono verso questo oceano hanno percorso relativamente brevi; al
contrario i fiumi che scendono verso l’oceano Atlantico, come il Mississippi e
il Rio delle Amazzoni, sono tra i più lunghi del mondo.
Veduta aerea sul Rio delle Amazzoni
Sulla Terra troviamo due tipi di
laghi: i laghi di acqua dolce, che sono solitamente dotati di un emissario,
oltre che di un immissario, e i laghi salati o chiusi, che possono ricevere
l’acqua di immissari, ma sono privi di emissari e si trovano perciò in zone
endoreiche. Sono laghi d’acqua dolce tutti i grandi laghi nord-americani,
mentre sono laghi chiusi molti grandi laghi asiatici, che sono talvolta
chiamati mari, come il mar Caspio e il lago d’Aral.
I laghi sono di diversi tipi a
seconda della loro origine: esistono
- laghi di origine glaciale, come
i grandi laghi alpini e altri, di solito di dimensioni più modeste
Il lago glaciale Flathead nel Montana (U.S.A.)
- laghi di origine vulcanica
Il lago vulcanico Cheonji (letteralmente Lago del Cielo) tra Corea del
Nord e Cina
- laghi che si sono formati in
lagune rimaste isolate dal mare (sono detti laghi costieri)
Il lago costiero di Sabaudia (Italia)
- laghi che riempiono fratture
create dal movimento delle zolle continentali, come i grandi laghi africani
(Vittoria, Tanganika, Malawi) che si trovano nella Rift Valley e sono in genere
molto profondi
Veduta del lago Tanganica presso la costa della Repubblica Democratica
del Congo
- laghi di origine tettonica
(dovuti ai movimenti della crosta terrestre), che sono quanto rimane di antichi
mari un tempo assai più estesi (ad esempio, il mar Caspio e il lago d’Aral un
tempo facevano parte del mare Sarmatico, che si estendeva dall’Ungheria fino
all’Asia centro-occidentale)
Veduta satellitare del mar Caspio
- laghi artificiali, creati
dall’uomo sbarrando corsi d’acqua con dighe, con lo scopo di produrre energia
elettrica o di ottenere serbatoi d’acqua da usare per l’irrigazione (come il
lago ottenuto sul Nilo con la diga di Assuan, o sullo Zambesi con la diga di
Kariba).
Il grande bacino artificiale creato in Egitto con la diga di Assuan
(foto satellitare)
L’azione dell’uomo può portare
alla scomparsa dei laghi. Uno dei maggiori laghi del mondo, il lago d’Aral, sta
scomparendo perché l’acqua dei suoi due affluenti viene utilizzata per
l’irrigazione delle aree semidesertiche dell’Asia centrale: dagli anni Sessanta
del XX secolo la profondità del lago è passata da oltre 50 metri a 40, la superficie
da oltre 65.000 kmq a 17.000 kmq.
Il lago d’Aral ripreso da satellite nel 2000 (a sinistra) e nel 2014
(foto prese da Focus.it)
Un lago può ridursi anche per
cause naturali, ad esempio perché l’evaporazione è maggiore della quantità
d’acqua fornita dagli immissari. Molti laghi sono soggetti a grandi variazioni
di livello, come il lago Ciad in Africa o i laghi australiani.
Come i fiumi, così i laghi non
sono distribuiti in modo uniforme: essi sono più numerosi in alcune aree, in
relazione alla storia geologica. Per esempio le regioni che durante le
glaciazioni furono coperte da calotte di ghiaccio sono spesse ricche di laghi,
perché quando i ghiacciai si sciolsero una parte dell’acqua accumulata riempì
le cavità scavate dai ghiacci: è il caso dei laghi finlandesi e di quelli
canadesi.
Veduta aerea su un gruppo di laghi dei Territori del Nord-Ovest
canadese
Oltre ai laghi, i maggiori bacini
di raccolta di acqua dolce superficiale sono le zone umide, ambienti
ricchissimi di vita animale e vegetale, per i quali nel 1971 è stata firmata la
Convenzione internazionale di Ramsar con lo scopo di tutelarle.
La superficie delle zone umide
varia nel corso dell’anno in base al regime dei corsi d’acqua che le
alimentano. Alcune di esse si trovano lungo i grandi delta fluviali, come
quello del Mississippi; altre, e sono la maggior parte, all’interno dei
continenti, dove le acque fluviali non riuscendo a rifluire verso il mare hanno
inondato vaste regioni. La maggiore zona umida al mondo è il Pantanal, che si
estende nel Mato Grosso brasiliano fino alla Bolivia e l’Uruguay nel bacino
superiore del fiume Paraguay. Molto vaste sono anche le Everglades della
Florida e il delta dell’Okavango, un fiume dell’Africa meridionale che non
giunge al mare, ma che si disperde all’interno del deserto del Kalahari
formando, nei periodi di massima piena, una vasta palude.
Il Delta dell’Okavango (Botswana)
Una parte dell’idrosfera è
formata da ghiacci: essi sono distinti in ghiacci terrestri (o continentali) e
ghiacci oceanici.
Il 90% dei ghiacci continentali
si trova in Antartide, dove si ha uno strato continuo di ghiaccio con uno
spessore medio di 2.000 metri e punte di 4.000 metri. Anche la Groenlandia è
ricoperta da una grande massa di ghiaccio, con uno spessore di circa 1.500
metri. Al di fuori dell’Antartide e della Groenlandia non troviamo più calotte
di ghiaccio di grandi dimensioni, a parte alcune aree dell’Islanda e della
Norvegia.
Ghiacci in Antartide
Sulle catene montuose troviamo
invece dei ghiacciai che si muovono lentamente da monte a valle e hanno
un’estensione assai più limitata: globalmente costituiscono meno dell’1% dei
ghiacci continentali. I ghiacciai sono presenti nelle aree a clima più freddo,
perciò nelle regioni più vicine ai poli, quali le estremità settentrionale e
meridionale dell’America, dove si trovano anche a livello del mare. Invece
nelle regioni più vicine all’equatore sono presenti solo ad alta quota, sulle
principali montagne: gli unici ghiacciai africani, di ridottissima estensione,
si trovano sui grandi monti vulcanici, come il Kilimangiaro, che s’innalza
assai vicino all’equatore.
Il ghiacciaio Upsala (Argentina), uno dei più grandi del Sud America
L’estensione dei ghiacciai
terrestri varia nel tempo: vi sono periodi, come quello attuale, in cui essi
tendono a ridursi, perché il clima è più caldo, e altri in cui essi si
estendono, perché il clima si raffredda. Sappiamo che nell’ultimo milione di anni
si ebbero diverse glaciazioni, durante le quali si formarono calotte di
ghiaccio che coprirono ampie regioni dell’emisfero settentrionale.
In mare si trovano ghiacci
formatisi per il congelamento dello strato superficiale dell’acqua marina: sono
detti ghiacci oceanici e sono diversi da quelli continentali perché contengono
una certa quantità di sale. Essi si trovano in prossimità dei poli: in inverno
il mar Glaciale Artico è interamente ricoperto dal pack, o banchisa, uno strato
di ghiaccio che ha uno spessore medio di tre-quattro metri, e uno strato
analogo, dello spessore di un metro, si trova intorno all’Antartide.
L’estensione di questi ghiacci varia a seconda delle stagioni: in inverno la
banchisa artica forma un’unica distesa che unisce le coste settentrionali
dell’America e dell’Asia; in estate i ghiacci si sciolgono in parte, liberando
vasti tratti di mare. Durante il disgelo frammenti della banchisa si muovono,
spinti dalle correnti, e possono percorrere grandi distanze.
Banchisa nel Mar Glaciale Artico
Non tutto il ghiaccio presente in
mare ha origine oceanica: vi sono anche blocchi staccatisi dai ghiacciai che
terminano in mare, oppure che vengono trascinati dai fiumi siberiani nel
periodo del disgelo.
Le grandi masse di ghiaccio
galleggiante vengono chiamate iceberg, qualunque sia la loro origine.
Gli iceberg emergono solo per 1/9
del loro volume: la parte che rimane sommersa (e che non è immaginabile dalla
semplice osservazione della parte emersa) costituisce un grave pericolo per la
navigazione. Essi infatti si muovono molto lentamente, percorrendo pochi
chilometri al giorno, ma se la visibilità è scarsa, per esempio a causa della
nebbia, una nave che si muove a 20-40 chilometri all’ora può facilmente urtarli:
per questo motivo esistono servizi di avvistamento degli iceberg, come lo
statunitense NIC (National Ice Center), che, avvalendosi anche delle
informazioni fornite dai satelliti artificiali, garantiscono una navigazione
sicura. Non era così nel 1912, quando un iceberg provocò l’affondamento del
celebre Titanic.
Un iceberg al largo della costa della Groenlandia
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