lunedì 17 agosto 2015

33 Come studiare uno Stato



COME STUDIARE UNO STATO

La scuola media italiana prevede che, dopo un anno di geografia generale, gli alunni studino l’Europa, suddividendola prima per aree (climatiche o storiche, fisiche o culturali; la scelta è molto discutibile), poi per Stati. Questo modo di organizzare l’insegnamento della Geografia (scelto probabilmente senza una vera conoscenza della disciplina) è abbastanza inutile e di solito fa passare agli allievi l’interesse per tale materia, mentre permette da una parte ai docenti di restare nelle calme acque del nozionismo più infecondo, dall’altra alle case editrici di pubblicare libri banali e costosi.
Tant’è. Se proprio si vuole studiare uno Stato (europeo in Seconda Media, extraeuropeo in Terza), che almeno lo si faccia secondo un certo criterio che aiuti ad assimilare gli elementi generali della geografia studiati in precedenza; che diventi, insomma, un metodo di studio. Ne propongo uno che è meccanico e ripetitivo, pur nella diversità degli Stati che possono essere studiati, ma proprio per questo permette di appropriarsi delle strutture fondamentali della disciplina.

GEOGRAFIA FISICA
1- La posizione dello Stato, in rapporto al pianeta Terra (emisfero boreale o australe) e al continente di appartenenza, con l’indicazione dei confini;
2- La superficie (il dato può essere indicato con esattezza, ma è del tutto inutile impararlo a memoria);
3- Il rilievo: monti, colline, pianure, con indicazione di quale tipo di rilievo è predominante;
4- L’idrografia: fiumi, laghi e mari (e coste, che possono essere anche indicate nel rilievo);
5- Il clima: temperature e precipitazioni, con l’indicazione se sono variabili stagionalmente o se sono costanti per tutto l’anno; i venti possono essere tralasciati, a meno che non siano fondamentali per le caratteristiche climatiche (come per esempio con i monsoni);
6- La flora e la fauna presenti negli ambienti naturali rimasti intatti, non modificati dall’intervento umano.
GEOGRAFIA UMANA
1- La popolazione: numero degli abitanti (un numero approssimativo è sufficiente), densità media, caratteristiche etniche (lingua, religione, tradizioni, ecc…);
2- L’economia, distinta nei 3 settori e nei diversi sottosettori, con l’indicazione delle caratteristiche principali, variabili paese per paese;
3- La capitale, con un semplice approfondimento sul suo ruolo economico e culturale;
4- Le altre città (è sufficiente il nome e una caratteristica nota a livello mondiale, se c’è);
5- La politica: tipo di istituzione (repubblica o monarchia) e di governo (democratico o dittatoriale);
6- Le curiosità, tra cui la bandiera, la moneta, la gastronomia, certe forme di divertimento, eccetera (si tratta di informazioni marginali e molto variabili a seconda dello Stato).

Nella maggioranza dei manuali in adozione nella scuola italiana c’è un paragrafo dedicato alla storia dei singoli Stati; mi sembra inutile, oltreché discutibile. Come si fa, per esempio, a riassumere la storia della Francia in mezza paginetta, senza essere superficiali?
Gli insegnanti propongono spesso lo studio di uno Stato accompagnato dal disegno della cartina (fisica e/o politica); l’attività mi vede perplesso, perché è generalmente faticosa, richiede molto tempo e non consente di apprendere particolari nozioni. Io preferirei la consultazione attenta (magari preceduta da esemplificazioni in classe) di una carta geografica, possibilmente su un buon atlante, poiché altri strumenti (mi riferisco a Internet) sono piuttosto inutilizzabili: in rete, infatti, è piuttosto raro trovare una buona carta geografica, completa o discretamente completa e ben leggibile.
Lo schema che ho proposto può essere utilizzato dagli allievi per fare un lavoro al computer, utilizzando il programma che si preferisce (programma di scrittura, slide, visualizzazioni dinamiche, eccetera). Io ritengo importante che le varie voci dello schema siano accompagnate da un’immagine quanto più consona possibile. Da questo punto di vista Internet è sicuramente uno strumento assai ricco, anche se conviene prima conoscere quali siti sono utilizzabili e affidabili, tenendo conto che bisogna sempre fare attenzione alla credibilità delle foto pubblicate in rete (non è raro che un monte sia spacciato per un altro, o che un’usanza brasiliana sia indicata come cilena!). Per questo motivo mi permetto di segnalare l’altro mio blog, che si chiama chiviaggiaimpara.blogspot.com, che, pur essendo ancora in formazione, contiene un buon numero di immagini, tutte controllate e complessivamente sicure (a meno di clamorose sviste, che possono essere capitate anche a me!).
Infine lo schema proposto va usato con flessibilità: uno Stato molto grande richiede una sintesi delle informazioni, uno piccolo un’analisi più dettagliata, in modo che gli allievi non scelgano un Paese o un altro spinti unicamente dal desiderio di fare velocemente o, al contrario, di mettersi in mostra con una ricerca megagalattica.

Esempio di ricerca (di buon livello, secondo me) su uno Stato, sulla base dello schema proposto:

LA FINLANDIA

GEOGRAFIA FISICA
La Finlandia si trova nell’Europa settentrionale ed è la parte più occidentale della grande pianura russa, mentre la zona più a nord rientra nella penisola Scandinava; un terzo del suo territorio si trova oltre il Circolo Polare Artico. Confina a ovest con la Svezia, a nord con la Norvegia e a est con la Russia; è bagnata a sud-ovest dal Mar Baltico (che a sud prende il nome di Golfo di Finlandia, a ovest di Golfo di Botnia).


La Finlandia ha una superficie di circa 330.000 km², cioè un po’ di più dell’Italia.
Il rilievo è in gran prevalenza pianeggiante, poiché i monti sono stati erosi nel corso di lunghe glaciazioni; solo nella parte più settentrionale si incontrano alcuni sistemi collinari e le estreme propaggini delle Alpi Scandinave (il Monte Halti, di circa 1.300 metri di altezza, è il rilievo più alto della Finlandia e si trova proprio sul confine con la Norvegia).

La pianura finlandese

La Finlandia ha un buon numero di fiumi, generalmente però dal breve percorso (il più lungo è il Kemijoki, di 550 km), mentre è ricchissima di laghi, soprattutto nella zona di sud-est, la cosiddetta regione dei laghi. I laghi della Finlandia sono tutti di origine glaciale, infatti hanno una forma allungata e sono poco profondi; i principali sono il Saimaa e il Lago Inari.
Le coste sono lineari lungo il Golfo di Botnia, più frastagliate nel Golfo di Finlandia, in particolare nelle isole che formano l’arcipelago di Åland.

Il lago Saimaa

Data la latitudine, la Finlandia ha un clima rigido, con temperature molto basse in inverno e fresche in estate (tra i 15 e i 20 gradi centigradi); lungo le coste la presenza del Baltico mitiga in parte le temperature. Le precipitazioni non sono elevate, maggiori nella tarda estate; le nevicate invernali non sono frequenti, ma a causa delle basse temperature la neve rimane sul terreno molto a lungo.

Un bosco di conifere innevate

La flora è quella caratteristica delle regioni boreali: boschi di conifere più a nord, boschi di latifoglie più a sud, con tundre nelle aree più settentrionali. La fauna selvatica è quella tipica della taiga: cervi, lupi, orsi, animali da pelliccia (ermellini, visoni, volpi, castori) e numerose specie di uccelli e di pesci. L’animale tipico della Lapponia (la regione più a nord) è la renna, che viene allevata.

Due renne
GEOGRAFIA UMANA
La Finlandia ha una popolazione di poco più di 5 milioni di abitanti, con una densità media molto bassa (15 abitanti per km²), maggiore a sud dove il clima è più favorevole. La grande maggioranza della popolazione appartiene al gruppo etnico dei Finni: parla il finlandese ed è di religione cristiana protestante. Tra le minoranze va segnalata quella svedese e quella dei Lapponi (o Sami), che vive nelle regioni settentrionali.

Un allevatore di renne di etnia Sami

Date le temperature, l’agricoltura in Finlandia è scarsamente praticata, ma produce comunque orzo, barbabietole da zucchero, avena e patate. Di una certa rilevanza economica è l’allevamento di renne e animali da pelliccia e la pesca è in grado di soddisfare il mercato locale, ma la risorsa principale del paese è costituita dallo sfruttamento delle foreste, cui si legano alcuni settori industriali: quello per la lavorazione del legno e quello della produzione di carta e cellulosa. In tempi recenti si sono sviluppati il settore dell’elettronica e quello delle telecomunicazioni: la multinazionale Nokia è finlandese. Il commercio estero è molto sviluppato, soprattutto per quanto riguarda l’esportazione dei prodotti dell’industria del legno.

Un’industria per la produzione di carta

Capitale della Finlandia è Helsinki, che assieme ad altre città (Espoo, Vantaa e altri centri minori) forma un agglomerato urbano di circa un milione di abitanti, un quinto dell’intera popolazione finlandese. Helsinki è il principale polo commerciale del Paese e centro amministrativo e culturale.

La cattedrale luterana di Helsinki

Le altre città della Finlandia sono tutte di medie dimensioni; le principali sono Tampere (che ospita annualmente rassegne di musica e cinema e manifestazioni sportive) e Turku, considerata il centro più antico del paese.

Una veduta della città di Turku

La Finlandia è una repubblica parlamentare di tipo democratico, con più partiti che si presentano alle elezioni che si svolgono ogni 4 anni.

Il palazzo sede del Parlamento finlandese a Helsinki

La Finlandia ha avuto e continua ad avere una storia piuttosto ricca musicalmente: il compositore Jean Sibelius è un eroe nazionale, mentre attualmente sono numerosi i gruppi che fanno musica folk e quelli che suonano un particolare hard rock, spesso in lingua finlandese. Il paese ha anche una ricca tradizione di tango finlandese ed è conosciuto in tutto il mondo il suo regista cinematografico più importante: Aki Kaurismaki. L’orienteering (che è una disciplina sportiva nata nella vicina Svezia) è molto praticato in Finlandia. La Finlandia ha inventato la sauna secca, o finlandese.

Monumento a Jean Sibelius a Helsinki



venerdì 31 luglio 2015

32 Le fonti di energia



LE FONTI DI ENERGIA

Ci sono due tipi fondamentali di fonti di energia usate dall’uomo:
- le fonti primarie, che possono produrre direttamente energia, come il sole, l’acqua, la legna, il carbone, il gas, eccetera
- le fonti secondarie, che derivano dalla trasformazione delle fonti primarie, tra le quali la più importante è l’energia elettrica, che può essere prodotta impiegando carbone, gas, acqua, eccetera.
Un’altra importante distinzione è quella tra fonti rinnovabili (il calore solare, o l’acqua) e fonti non rinnovabili, ad esempio i combustibili fossili (carbone, petrolio), le cui riserve prima o poi si esauriranno.
Per millenni l’uomo ha avuto a disposizione solo l’energia muscolare propria o quella degli animali e l’energia naturale ricavabile dalla legna da ardere, o dall’acqua e dal vento, con cui ha fatto funzionare macchine come i mulini.

Vecchio mulino ad acqua nel nord della Francia

Con la rivoluzione industriale ha avuto bisogno di grandi quantità di energia, che ha prodotto prima utilizzando il carbone, poi il petrolio e i minerali radioattivi.
La produzione e il consumo di energia sono aumentati soprattutto dopo la scoperta nel XIX secolo dell’energia elettrica. Essa oggi viene prodotta in quattro principali tipi di centrali:
1-      le centrali idroelettriche, che sfruttano la caduta delle acque dei fiumi o dei laghi
2-      le centrali termoelettriche, che producono elettricità bruciando carbone, gas o petrolio
3-      le centrali geotermiche, che sfruttano il calore proveniente dal sottosuolo, attraverso fenomeni naturali di tipo vulcanico, come i soffioni boraciferi o i geyser, ampiamente utilizzati in uno Stato che ne è ricco come l’Islanda

 La centrale geotermica Reykjanes in Islanda

4-      le centrali termonucleari, che utilizzano come combustibile alcuni minerali radioattivi, tra cui l’uranio.
Del carbone e del petrolio si è già detto nella lezione “Le attività estrattive”; soffermiamoci ora sull’energia nucleare.
Essa si ottiene attraverso il processo di fissione del nucleo dell’atomo, ossia la rottura del nucleo mediante bombardamento con particelle. L’energia nucleare fu utilizzata per la prima volta a scopi militari durante la Seconda guerra mondiale, quando, per costringere il Giappone alla resa, gli U.S.A. sganciarono una bomba atomica (o nucleare, basata appunto sulla fissione nucleare) sulla città di Hiroshima il 6 agosto 1945. Dopo la guerra la fissione dell’atomo cominciò ad essere utilizzata anche a scopi pacifici per la produzione di energia elettrica; vennero create centrali nucleari in tutti i Paesi industrializzati, Italia compresa.

La centrale nucleare di Doel (Belgio) costruita attorno agli anni Settanta

Per produrre energia elettrica mediante una centrale termonucleare è necessario utilizzare l’uranio, un elemento che emette una particolare specie di raggi ed è perciò detto radioattivo. Gli attuali reattori nucleari (cioè i dispositivi che utilizzano le reazioni nucleari per fornire energia) utilizzano però solo una percentuale minima del contenuto energetico dell’uranio (circa l’1%), perché ne sfruttano solo un componente chiamato isotopo 235. Da anni si sta studiando il metodo di utilizzare interamente l’uranio, o la possibilità di creare energia nucleare non attraverso la fissione, bensì attraverso la fusione, cioè la formazione di un unico nucleo dall’unione di più nuclei; però finora si è stati solo in grado di fare interessanti sperimentazioni, ma non di produrre energia per scopi civili con questo processo.
Negli anni Sessanta del secolo scorso l’energia nucleare fu considerata la soluzione del problema energetico (il bisogno costante di produrre energia per la nostra società industrializzata): si trattava infatti di una fonte inesauribile, a basso costo, che sembrava destinata a sostituire le altre fonti di energia. Però ben presto risultò evidente che questo tipo di energia presenta diversi pericoli e lascia aperti numerosi problemi; in tutto il mondo si formarono schieramenti a favore del nucleare e schieramenti contrari, entrambi con le loro motivazioni giustificate.

Una recente manifestazione antinucleare a Taipei (Taiwan)

Per essere sicure, le centrali nucleari dovrebbero garantire l’assoluto controllo della radioattività (l’emissione di raggi), perché l’esposizione a materiale radioattivo, come l’uranio, può provocare la morte immediata, se la dose è molto forte, o a distanza di anni, perché favorisce la formazione di tumori. Nelle centrali si produce inoltre plutonio (un elemento radioattivo artificiale), che per l’uomo è estremamente tossico.
La radioattività non danneggia solo le persone direttamente colpite, ma anche i figli non ancora nati e i discendenti: i genitori colpiti da radiazioni rischiano di generare bambini deformi o già malati, destinati a morire in breve tempo, e anche i figli sani possono generare a loro volta – fino alla quinta generazione – figli deformi o portatori di malattie mortali.

A una mostra nelle Filippine organizzata da Greenpeace sulle conseguenze delle radiazioni sugli esseri umani

Le centrali nucleari, inoltre, possono subire degli incidenti; uno dei primi che vennero a conoscenza della pubblica opinione fu quello del 1979 all’impianto di Three Mile Island, in Pennsylavia, U.S.A., che ne provocò la chiusura e un monitoraggio non ancora concluso, in vista di un possibile smantellamento.
Gravissimo fu l’incidente che si verificò a Chernobyl, in Ucraina, nel 1986: qui il nocciolo di uno dei reattori si fuse, emanando un’enorme quantità di radiazioni, che provocò la morte di 65 persone e di altri 4.000 decessi per tumori in un periodo di 80 anni dall’incidente, ma questi dati ufficiali sono contestati da numerose associazioni antinucleariste internazionali, come Greenpeace, che stima invece in 6 milioni il numero di persone che sono morte o moriranno in seguito alle radiazioni. Nei giorni successivi all’incidente la radioattività si diffuse in tutta Europa, contaminando vegetali e animali, per cui divenne pericoloso mangiare verdure fresche e bere latte; la zona attorno alla centrale venne evacuata ed è stata completamente abbandonata.

Pryp'jat', a 3 km dalla centrale di Chernobyl, è oggi una città fantasma

Coloro che sono favorevoli al nucleare sostengono che il disastro di Chernobyl sia unico e irripetibile e che le centrali nucleari sono sempre più sicure; nel mondo ce ne sono in funzione più di 440, di cui la metà in Europa, e per molti anni non ci sono più stati gravi incidenti. Almeno fino al 2011, quando la centrale di Fukushima Dai-ichi, in Giappone, non ha subito quattro distinti incidenti, in seguito a un terremoto-maremoto; la zona in cui sorge la centrale è stata evacuata per chilometri ed è ignoto il numero di persone che sono state contaminate e che moriranno nei prossimi anni, ma l’incidente ha sicuramente convinto molte persone (e forse anche qualche governo) di quanto il ricorso all’energia nucleare non sia per niente sicuro.


Un’immagine dell’incidente alla centrale di Fukushima Dai-ichi

Del resto, se anche non si verificano incidenti, c’è un altro aspetto assai delicato in questo tipo di fonte di energia: quello delle scorie. Infatti i materiali di rifiuto prodotti durante la lavorazione dell’uranio rimangono radioattivi per un lunghissimo periodo di tempo, oltre un milione di anni. Se questi materiali venissero a contatto con l’ambiente, magari in seguito a un terremoto, si verificherebbe una contaminazione radioattiva, con le conseguenze che sono state già descritte; nessuno, perciò, vuole depositi di scorie vicino alla propria casa. Le soluzioni che sono state pensate per risolvere il problema (dal lancio nello spazio alla sepoltura in grandi depositi di sale) non sono fattibili, né in termini di sicurezza, né di costo economico, pertanto le scorie vengono stoccate in bunker sotterranei, accuratamente scelti e monitorati, ma sulla cui totale sicurezza nessuno è disposto a scommettere.
Problemi di sicurezza ci sono anche nell’estrazione dell’uranio, poiché è un’attività altamente pericolosa e molti di coloro che lavorano nelle miniere di uranio muoiono, perché sono esposti a dosi letali di radiazioni. È successo, per esempio, a molti minatori Navajos, che negli anni Cinquanta del XX secolo lavoravano in miniere che si trovavano nelle loro terre. Attualmente i maggiori produttori di uranio sono l’Australia, il Kazakistan, il Canada, la Russia, il Sudafrica, la Namibia, il Niger e il Brasile, Stati che devono fare i conti ancora oggi con questo problema.

La Miniera Rössing vicino a Arandis, in Namibia, è una delle più grandi miniere di uranio a cielo aperto del mondo

Tutte queste problematiche hanno limitato in alcuni Stati i programmi di costruzione di centrali nucleari; per esempio in Italia il disastro di Chernobyl ha portato a un referendum (votazione) popolare nel 1987, in seguito al quale nel nostro Paese sono state dismesse le centrali esistenti ed è stata negata la possibilità di costruirne di nuove.
Ai problemi del nucleare vanno aggiunti due altri fatti importanti per la nostra società industrializzata:
- i combustibili fossili sono destinati ad esaurirsi nel giro di circa un secolo (se non prima);
- il loro impiego sta creando gravi conseguenze ambientali, a cominciare dall’aumento della temperatura terrestre.
Di qui la spinta inevitabile alla ricerca di sistemi per la produzione di energia, che siano meno pericolosi per l’ambiente e che sfruttino le fonti rinnovabili: si tratta delle cosiddette fonti di energia alternativa.
La prima è quella da cui dipende tutta la vita sulla Terra, cioè l’energia solare, responsabile della sintesi clorofilliana che fa crescere le piante, così come del ciclo dell’acqua che porta all’evaporazione e alle precipitazioni. L’energia solare è presente in tutto il pianeta ed è maggiore nelle regioni più vicine all’equatore, dove l’irraggiamento solare è più forte. Essa però non è facilmente sfruttabile su larga scala: le centrali solari hanno ancora basse rese, perché la quantità di energia solare utilizzabile è ridotta.

Andasol 1, la prima centrale ad energia solare prodotta in Spagna, nella provincia di Granada

È molto più produttiva se viene usata per il riscaldamento delle case o dell’acqua, attraverso i pannelli solari collocati, per esempio, sui tetti delle case; l’applicazione di questi pannelli permette di ridurre tutti i consumi energetici domestici e perciò il loro uso si sta diffondendo in molti Stati europei.
Un’altra energia alternativa è quella eolica, sfruttata da tempi molto antichi attraverso i mulini a vento. Attualmente generatori di elettricità azionati dal vento (le cosiddette pale eoliche) sono in funzione in diversi Stati europei e contribuiscono a segnarne il paesaggio in maniera fondamentale, soprattutto nelle regioni più settentrionali.

Pale eoliche nei pressi di Copenaghen (Danimarca)

Da tempi piuttosto recenti si è cercato di produrre energia anche sfruttando le maree, ossia il costante innalzamento e abbassamento del mare: nel 1966 è entrata in funzione la prima centrale mareomotrice in Bretagna (Francia), alla foce del fiume Rance. Le maree possono essere sfruttate per produrre energia esclusivamente dove il dislivello tra l’alta e la bassa marea sia notevole, come nell’oceano Atlantico; altrove, come nel mar Mediterraneo, si tratterebbe di un investimento poco redditizio. Ma anche in riva all’Atlantico questo tipo di centrali è molto costoso rispetto alla produzione finale di energia e ha rivelato alcuni problemi ambientali, quali l’erosione delle coste.

Veduta aerea sulla centrale mareomotrice alla foce del fiume Rance (Francia)

Lo stesso può dirsi della produzione di energia dal movimento delle onde del mare; in questo caso, inoltre, l’intensità delle onde è molto irregolare e spesso insufficiente per avere una quantità apprezzabile di energia.
Ci sono altre possibilità di produrre energia, per esempio utilizzando il calore di scarico degli impianti industriali e delle centrali elettriche, oppure recuperando i rifiuti urbani, o sfruttando biomasse, quali grano, mais, canna da zucchero, eccetera. Complessivamente, però, le fonti alternative forniscono oggi solo una piccola parte dell’energia necessaria, soprattutto di quella utilizzata dalle industrie; contemporaneamente il diffondersi dell’industrializzazione nel mondo, fa crescere sempre più il fabbisogno energetico (nonché l’inquinamento).
Per questo la ricerca delle fonti alternative è in continuo sviluppo e si accompagna anche agli studi sul risparmio energetico, al fine di evitare gli sprechi della società attuale, non solo nelle lavorazioni industriali, ma anche negli usi domestici più comuni; in fondo è molto semplice spegnere la luce in una stanza, quando non viene usata.

Universe of Energy, un padiglione nel Walt Disney World Resort a Bay Lake, Florida (USA):
il futuro sarà davvero pieno di energia?

giovedì 16 luglio 2015

31 Gli insediamenti e le città



GLI INSEDIAMENTI E LE CITTÀ

Nella lezione precedente (“La civiltà europea”) è emerso che nei momenti maggiormente positivi per lo sviluppo di una civiltà si è sempre registrato un incremento nel numero delle città, cioè si è verificato il fenomeno dell’urbanizzazione. Non è un caso che la popolazione che oggi nel mondo vive in aree urbane sia in continua crescita e che nel 2009 la popolazione urbana abbia superato quella rurale. Questa lezione è pertanto incentrata sulle diverse forme di insediamento esistenti e in particolare sulle città.
Esistono due tipi di insediamenti umani: quelli temporanei e quelli permanenti.
Gli insediamenti temporanei sono caratteristici delle popolazioni nomadi o seminomadi che si spostano da una regione all’altra e abitano per un certo periodo in case facili da costruire e smontare, come le tende, o in abitazioni provvisorie, o ancora in carovane che si spostano secondo le necessità. In Europa il nomadismo è sempre meno praticato e riguarda quasi esclusivamente le popolazioni come i Rom, che vivono per lo più in centri appositi (a volte degradati) i quali non favoriscono l’integrazione con la popolazione stanziale.

Un insediamento rom vicino a Poprad, in Slovacchia

Gli insediamenti permanenti sono quelli abitati in modo continuativo dalle persone e sono a loro volta di due tipi principali: sparsi o accentrati.
Gli insediamenti sparsi sono costituiti da abitazioni isolate e distribuite sul territorio; sono diffusi soprattutto nelle zone rurali, per questo, spesso, si tratta di case abitate da persone che lavorano nell’agricoltura. La casa rurale tradizionale dei contadini era formata da alcuni edifici che un tempo svolgevano precise funzioni: l’abitazione per la famiglia, la stalla e il fienile per i bovini, la rimessa per le macchine agricole. Tutti questi edifici sorgevano attorno a un’aia, cioè un cortile centrale dove venivano raccolti i prodotti da essiccare, sgranare o scegliere, o dove erano lasciati liberi i cosiddetti “animali da cortile”, cioè pollame e simili. Oggi gli agricoltori non allevano più il bestiame (tranne in qualche area dell’Europa orientale) e la stalla e il fienile sono diventati depositi, garage, seconde case; l’aia si è trasformata in spazio per i giochi dei bambini o in giardino. Accanto alla casa rurale si trova ancora, abbastanza spesso, uno spazio utilizzato come orto per la coltivazione di legumi da consumare in famiglia.

Una casa contadina nel Brabante Settentrionale (Paesi Bassi)

A volte gli insediamenti sparsi non sono case di contadini, bensì abitazioni di persone che svolgono tutt’altro lavoro, di solito in città, dove si recano al mattino e da cui ritornano il pomeriggio o la sera: sono persone che hanno scelto di vivere in campagna per essere lontani dai rumori e dagli inquinamenti che si possono trovare in città, insomma, che desiderano un po’ di quiete e di tranquillità. In questi casi le loro abitazioni hanno una tipologia molto simile alle villette che si possono trovare in città, magari dotate di un più ampio giardino, oppure possono essere ricavate da vecchie fattorie o case rurali, di cui conservano, soprattutto all’esterno, la fisionomia.

Casa di campagna nelle Marche (Italia)

Gli insediamenti accentrati sono abitazioni costruite in raggruppamenti più o meno consistenti: si va dal casale o borgata (un gruppo di poche case), al centro abitato, che, a seconda del numero di abitazioni, può essere un villaggio (se gli abitanti sono meno di mille), un paese (da mille a 15.000), una città (oltre i 15-20.000 abitanti); non esiste comunque una normativa precisa su questa questione, perciò i termini usati possono variare.
La nascita e lo sviluppo di un centro abitato in un determinato luogo (sito) dipendono da molteplici fattori; essi possono essere naturali o umani, comunque considerati favorevoli alla vita umana: la possibilità di rifornimento idrico o alimentare, la facilità nelle comunicazioni e negli scambi, la possibilità di difendersi da attacchi nemici.
Spesso la scelta del sito determina la forma di un centro: ad esempio possiamo avere un villaggio lineare che si è sviluppato lungo una strada o un corso d’acqua, oppure un villaggio accentrato sorto attorno a un castello, o a una cerchia di mura, o all’ansa di un fiume.

Il paesino di Loket (Repubblica Ceca) ha una forma circolare 
poiché è quasi completamente circondato dal fiume Eger

La città si distingue dal villaggio e dal paese non solo perché ha più abitanti ed edifici, ma anche perché permette lo svolgimento di tutte quelle funzioni che sono la causa prima per cui l’uomo ha inventato le città: la funzione residenziale, quella economica, quella politico-amministrativa.
La funzione residenziale è quella del vivere insieme ad altre persone: ciò permette la vicinanza con altri esseri umani (costumanza tipica dell’umanità) e la difesa comune da qualunque pericolo esterno (si pensi ai paesi costieri che durante il Medioevo erano attaccati dai Vichinghi in Francia o in Inghilterra, o dai Saraceni in Italia e Spagna).
La funzione economica consiste nell’avere, a una distanza quanto più ravvicinata, le fabbriche o altri luoghi di lavoro, le attività commerciali e tutte quelle strutture dei servizi (trasporti, banche, uffici vari, ospedali, scuole, eccetera) necessari al vivere quotidiano.
La funzione politico-amministrativa consiste nella possibilità di concentrare in uno spazio ravvicinato quanto serve all’esercizio del potere e del governo, vale a dire gli edifici del Municipio comunale, della sede provinciale o regionale, del tribunale, della Prefettura e così via. Nelle città che sono anche capitali di uno Stato questa funzione è maggiore e necessita di un gran numero di edifici: il palazzo reale o presidenziale, il Parlamento, i vari ministeri e così via.

Il complesso di edifici che formano il Parlamento austriaco a Vienna

Tutte le città sono formate da due parti principali, che corrispondono alle diverse fasi storiche della loro crescita: il centro e la periferia. Entrambe queste parti, soprattutto nelle città più grandi, possono essere suddivise in aree chiamate quartieri o zone.
Il centro della città è la parte più frequentata, verso la quale converge il maggior flusso di persone, di mezzi e di merci, e dove si possono trovare numerosi negozi e uffici. Spesso il centro corrisponde alla parte più antica della città, che noi chiamiamo per questo centro storico, mentre nei paesi di lingua inglese viene chiamato old town.

Centro storico di Cracovia (Polonia): nel centro storico ci sono di solito i monumenti principali
e la piazza più grande della città

Nelle città europee il centro storico può essere molto vario, in base a quanto è antico e a quale civiltà appartiene: in Grecia e nelle città nate dalla colonizzazione greca è facile trovare nel centro storico qualche tempio greco; nelle città di origine romana possono esserci un anfiteatro, un foro, una porta, un teatro; in una città medievale un castello, o una cattedrale o un palazzo comunale e comunque strade strette e intricate.

Una delle porte medievali di Basilea (Svizzera)

Alcune città hanno una chiara origine rinascimentale, con ampi viali rettilinei, grandi palazzi, poderose mura con bastioni; altre ancora evidenziano l’origine industriale nei viali alberati dove sorgono le case signorili e nei quartieri popolari che un tempo attorniavano le fabbriche, ora spostate fuori città, ma di cui a volte rimangono edifici trasformati in musei. Molte città europee hanno subito pesanti bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale e sono state per questo ricostruite al termine del conflitto; la ricostruzione è avvenuta nel rispetto delle forme originarie per quanto riguarda i monumenti storici, in forme completamente nuove per altri edifici, come ad esempio le stazioni ferroviarie che sono state solitamente modificate per adeguarle alle nuove condizioni del traffico.

La Gedächtniskirche di Berlino (città particolarmente distrutta dai bombardamenti) non è stata ricostruita: accanto ai suoi ruderi sono stati costruiti altri edifici (quella sulla destra è una nuova chiesa) in stile completamente moderno e molto in contrasto con quello della chiesa ottocentesca

Uscendo dal centro si procede verso la periferia, che può essere più o meno estesa a seconda dello sviluppo della città: mano a mano che ci si allontana dal centro storico i quartieri si fanno più moderni e specializzati, in particolare si incontrano le zone industriali e artigianali dove prevalgono le fabbriche, oppure le zone commerciali in cui sorgono grandi ipermercati, centri commerciali e centri fieristici, oppure ancora le zone amministrative nuove, più adatte alla funzione che svolgono rispetto agli edifici storici del centro, spesso trasformati in monumenti.
Al di fuori della periferia, in zone rurali nelle quali è ancora presente la campagna coltivata, si trovano a volte i sobborghi, nuclei abitati strettamente collegati alla città.

Il distretto di La Défense a Parigi è un insieme di grattacieli adibiti a uffici, centri commerciali e appartamenti; si trova a ovest di Parigi, fuori dal suo comune, ma è parte integrante della capitale francese, raggiungibile in un tempo accettabile mediante la metropolitana

L’urbanizzazione, ossia la crescita continua delle città, ha portato all’espansione crescente delle città nei territori circostanti e alla nascita di aree urbane sempre più grandi e popolose. Quando un centro supera il milione di abitanti siamo in presenza di una metropoli. Quando una metropoli si amplia fino a inglobare i sobborghi e i centri urbani minori circostanti, si forma un agglomerato urbano che può superare anche i 10, 30 milioni di abitanti e che viene chiamato anche megalopoli. Quando due o più città si sono espanse al punto di congiungersi o quasi, ma conservano una certa indipendenza (ad esempio amministrativa) si parla di conurbazione.
In Europa quasi 40 città superano il milione di abitanti; eccone l’elenco con l’avvertenza che i dati non sono tutti dello stesso anno (manca in Europa una fonte statistica precisa e omogenea su questo aspetto) e che si riferiscono alle singole municipalità (se fossero considerate le aree metropolitane comprensive anche dei sobborghi le cifre sarebbero più alte):



Città (Nazione)
Abitanti
1
Istanbul (Turchia)
13.854.740
2
Mosca (Russia)
12.197.000
3
Londra (Regno Unito)
8.615.000
4
San Pietroburgo (Russia)
5.197.000
5
Berlino (Germania)
3.562.000
6
Madrid (Spagna)
3.165.000
7
Roma (Italia)
2.872.000
8
Kiev (Ucraina)
2.619.000
9
Parigi (Francia)
2.274.000
10
Minsk (Bielorussia)
1.921.000
11
Barcellona (Spagna)
1.814.000
12
Bucarest (Romania)
1.803.000
13
Vienna (Austria)
1.793.000
14
Amburgo (Germania)
1.789.000
15
Budapest (Ungheria)
1.735.000
16
Varsavia (Polonia)
1.726.000
17
Belgrado (Serbia)
1.659.000
18
Novosibirsk (Russia)
1.523.000
19
Monaco di Baviera (Germania)
1.498.000
20
Charkiv (Ucraina)
1.494.000
21
Ekaterinburg (Russia)
1.412.000
22
Nižnij Novgorod (Russia)
1.358.000
23
Milano (Italia)
1.337.000
24
Sofia (Bulgaria)
1.270.000
25
Praga (Repubblica Ceca)
1.243.000
26
Kazan’ (Russia)
1.205.000
27
Bruxelles (Belgio)
1.168.000
28
Čeljabinsk (Russia)
1.156.000
29
Samara (Russia)
1.135.000
30
Omsk (Russia)
1.131.000
31
Rostov sul Don (Russia)
1.115.000
32
Ufa (Russia)
1.096.000
33
Birmingham (Regno Unito)
1.074.000
34
Colonia (Germania)
1.057.000
35
Perm’ (Russia)
1.036.000
36
Volgograd (Russia)
1.017.000
37
Odessa (Ucraina)
1.003.000


Sette di queste città sono delle conurbazioni e in quanto tali hanno un numero di abitanti assai maggiore di quello nel loro territorio comunale: per esempio Parigi arriva quasi 12 milioni di abitanti, Londra arriva a 14, Mosca a 18. Cinque di queste conurbazioni si sono formate intorno a una capitale. Due di queste, Parigi e Londra, sono capitali da molti secoli e sono tra i principali centri industriale e commerciali dell’Europa; inoltre poiché la Francia e l’Inghilterra costituirono un vasto impero coloniale, queste due città sono fortemente cosmopolite, cioè abitate e frequentate da gente di ogni nazionalità.
Altre due grandi conurbazioni sorte intorno ad una capitale sono quelle di Mosca e di San Pietroburgo, entrambe capitali della Russia in tempi diversi; San Pietroburgo è una città piuttosto recente, dato che è stata fondata solo nel 1703, ma nacque già per essere capitale dell’Impero Russo e questo spiega la sua rapida espansione.

Veduta aerea di Mosca (Russia)

Anche Istanbul fu capitale, prima dell’Impero Bizantino, con il nome di Bisanzio o Costantinopoli, poi dell’Impero Ottomano e solo nel 1923 fu sostituita da Ankara nel ruolo di capitale della Turchia; va considerato comunque che essa rimane la principale città di questo Stato ed una delle maggiori del continente, ma ha caratteri più asiatici che europei.
Le altre due conurbazioni sono formate da città vicine, che la crescita ha portato a fondersi: si tratta della città-anello olandese (Randstad Holland), che ha più di 6 milioni di abitanti e comprende 17 città tra cui Amsterdam, Rotterdam, L’Aia, Utrecht e Leida, e della conurbazione della Ruhr, in Germania, costituita da centri industriali quali Dortmund, Essen, Duisburg e Düsseldorf, ma anche Colonia e Bonn possono essere fatti rientrare in questa vasta area con più di 5 milioni di abitanti.

Veduta sul bacino della Ruhr, in direzione di Duisburg (Germania)

La rapida crescita delle città ha creato molti problemi e fin dal secolo scorso le amministrazioni comunali hanno dovuto intervenire più volte, preparando piani regolatori che stabilissero l’aspetto di quartieri o di intere città; anzi, dove ciò avvenuto ancora all’inizio del XX secolo (nell’Europa centro-settentrionale) sono stati evitati quei problemi di sovraffollamento, di traffico, di inquinamento, di mancanza di servizi e di spazi verdi che sono tipici di parecchie città dell’Europa meridionale, dotate solo molto tardi di piani regolatori efficaci.

Traffico in una via di Atene (Grecia) vicino al palazzo del Parlamento

 I piani regolatori stabiliscono quale uso è possibile fare del terreno, sia pubblico, sia privato: quali aree possono essere destinate ad abitazioni, quali ad attività commerciali, o agricole, o industriali, quali a spazi verdi. Essi fissano alcune norme per le costruzioni (ad esempio l’altezza degli edifici, il numero di piani, i metri cubi) in modo che nelle città le condizioni di vita siano soddisfacenti.

Lo Slottsparken di Oslo (Norvegia): tutte le città dell’Europa centro-settentrionale sono dotate 
di ampi e curatissimi giardini pubblici

L’Italia, purtroppo, si contraddistingue spesso per la mancanza di norme precise o per l’incapacità degli amministratori di far rispettare le norme esistenti: sono numerosi i fenomeni di abusivismo edilizio (cioè costruzione di edifici che non rispettano le regole) e i politici, per ottenere i voti dei cittadini che già hanno operato disonestamente, varano spesso dei condoni edilizi, ossia delle leggi che permettono a chi ha commesso un abuso di cavarsela con il pagamento di una piccola somma allo Stato (raramente si giunge all’abbattimento o al sequestro di edifici non in regola). In questo modo non si crea una corretta abitudine civica e si continua a costruire nei greti dei fiumi, sulle coste, su pendii franosi, persino in aree archeologiche, con grave danno per il bene comune.

Abusivismo edilizio in Puglia (Italia)