martedì 5 gennaio 2016

35 Il pianeta Terra: orogenesi, vulcani, terremoti


IL PIANETA TERRA: OROGENESI, VULCANI, TERREMOTI

L’orogenesi è l’origine del rilievo sulla Terra. Essa dipende dai movimenti delle zolle, perché a causa di questi movimenti le zolle si deformano, piegandosi e sollevandosi, e formando così catene montuose.
Questi fenomeni sono assai complessi e qui se ne può fare solamente un’esamina sintetica.
Le catene di montagne si possono formare quando due zolle si avvicinano fino a scontrarsi. Quando una zolla si sposta verso un’altra zolla, tutta l’aerea che c’è in mezzo viene a trovarsi stretta tra due forze che esercitano una pressione crescente e si piega, sollevandosi. È questa l’origine di alcune delle principali catene terrestri, quali l’Himalaya.
Questa catena si formò quando la zolla indo-australiana si avvicinò a quella asiatica, premendo su un’area marina che si trovava tra le due zolle. La crosta oceanica, stretta tra le zolle, si sollevò ad altezze sempre maggiori, fino a formare la catena dell’Himalaya, che è la più elevata della Terra, con molte cime superiori agli 8.000 metri.

La scontro tra due zolle e la conseguente formazione di catene montuose può essere esemplificato come in questo disegno, in cui qualcuno spinge l’una contro l’altra le due pagine di un libro

Un’origine simile hanno le Alpi, formatesi in seguito all’avvicinarsi della zolla africana a quella euroasiatica, che provocò il sollevamento della crosta oceanica posta tra le due zolle continentali.
Altre catene di montagne si formano quando il margine consuntivo di una placca si trova nelle vicinanze di una massa continentale. Le rocce della zolla che sprofonda, giunte in profondità, si fondono parzialmente e il magma risale verso la superficie. Esso può formare un arco insulare, come abbiamo visto nella lezione precedente, ma può anche penetrare al di sotto della zolla vicina. Questa perciò si solleva, dando vita a catene di montagne dette a cordigliera. La principale catena di questo tipo è la Cordigliera delle Ande, che corre lungo tutta la costa sud-americana dell’oceano Pacifico.

Disegno illustrativo del fenomeno che origina le cordigliere

Altre montagne infine sono di origine vulcanica: anche la loro formazione è legata ai movimenti delle zolle. Ne parleremo tra poco.
Il movimento delle zolle non crea solo rilievi: esso provoca anche fratture nelle masse rocciose. Queste fratture vengono chiamate faglie quando uno dei due lati della frattura scorre, spostandosi rispetto all’altro: in questo caso rocce un tempo a contatto possono trovarsi anche a grande distanza, verticale se uno dei lati della faglia si solleva, oppure orizzontale se un lato scorre lungo la frattura.
Una delle principali faglie è quella della Rift Valley, nell’Africa orientale, un’immensa fossa apertasi negli ultimi trenta milioni di anni e nella quale si sono formati alcuni grandi laghi. Molto conosciuta è la faglia di Sant’Andrea, che corre per 1.300 chilometri nella California, delimitando due zolle che scorrono parallele e sono periodicamente responsabili di disastrosi terremoti.

Una veduta aerea della faglia di Sant’Andrea in California (U.S.A.)

Non tutta la superficie di una zolla è soggetta a piegamenti e sollevamenti: questi si verificano soprattutto nelle aree marginali, dove sono frequenti i terremoti e dove spesso ci sono numerosi vulcani; invece vaste aree interne possono rimanere stabili per centinaia o migliaia di milioni di anni. Tali aree vengono spesso chiamate scudi, o cratoni: è il caso della parte interna del Nord America (scudo canadese) e dell’Europa nord-orientale (scudo baltico).
Le terre emerse sono soggette all’erosione, provocata dall’acqua piovana, dai fiumi, dal gelo, dal ghiaccio, dal vento, dai movimenti del mare. L’erosione abbassa le cime dei monti di circa 0,1 millimetri l’anno. Se l’orogenesi avvenisse alla medesima velocità, non si potrebbero formare catene montuose, perché esse verrebbero spianate man mano che si formano. La velocità di formazione delle montagne nei margini di accrescimento della crosta terrestre è invece assai maggiore, potendo anche superare i 15 millimetri l’anno.

Monti erosi dall’acqua piovana in Madagascar

L’attività vulcanica sulla Terra avviene principalmente ai margini delle zolle, dove ha origine il magma che risale dal mantello fino alla superficie. Insieme al magma, che forma la lava, vengono emessi cenere, vapori e gas. La lava e la cenere si depositano, fuoriuscendo, intorno al cratere e si accumulano, formando un cono vulcanico che può raggiungere altezze considerevoli, come nel caso di alcuni vulcani delle isole Hawaii o il Kilimangiaro, che con i suoi 5.895 metri costituisce la maggiore cima dell’Africa.

Il cratere del Kilimangiaro (Tanzania), che data l’elevata altitudine è ricoperto da un ghiacciaio perenne

I monti vulcanici hanno un cratere (o bocca) principale ed altri crateri secondari, collegati da un condotto naturale, il camino, alla camera magmatica, ossia il deposito sotterraneo di magma.

La struttura interna di un vulcano

Oltre ai vulcani situati ai margini delle zolle, ve ne sono altri all’interno delle zolle stesse. Secondo gli scienziati essi si trovano in corrispondenza di punti caldi del mantello terrestre, in cui il magma risale da grandi profondità. Sono vulcani di questo tipo quelli hawaiani, delle isole Azzorre, delle Canarie e di molte altre isole dell’Atlantico e del Pacifico. Molti di questi vulcani sono sottomarini e non sono perciò visibili, ma essi si innalzano spesso fino a 2.000 metri al di sopra del fondo marino: nell’oceano Pacifico vi sono più di diecimila vulcani sommersi.
Alcuni monti vulcanici sono ormai inattivi; altri invece sono ancora attivi, ma la loro attività non è continua: alcuni possono non dare segno di attività per centinaia di anni, per poi risvegliarsi con eruzioni violente.
In base alle caratteristiche della lava e al modo in cui viene espulsa, possiamo distinguere diversi tipi di eruzioni vulcaniche. I vulcani detti di tipo hawaiano hanno eruzioni effusive, quasi continue, con emissione di lava molto fluida, che esce e scende lungo i fianchi del cono vulcanico, formando torrenti che si solidificano progressivamente. Questo tipo di eruzione, non essendo né violento, né improvviso, non presenta particolari pericoli.

La lava che fuoriesce da un vulcano hawaiano giunge fino all’acqua dell’oceano, dove si raffredda e si solidifica

Quando invece la lava ha una consistenza maggiore, per cui tende a ostruire il camino vulcanico, si possono avere eruzioni esplosive, che possono essere sia di piccola portata, sia di dimensioni eccezionali; in quest’ultimo caso l’eruzione, violentissima ed improvvisa, può distruggere intere città, come successe nell’isola caraibica di Martinica, nel 1902, quando una valanga di cenere e gas emessa dal vulcano la Pelée seppellì la città di Saint Pierre con i suoi 30.000 abitanti.

L’eruzione del vulcano la Pelée nel 1902, in due foto d’epoca

Ugualmente pericolosa è l’eruzione di tipo vesuviano, anch’essa esplosiva: il magma viene scagliato nell’atmosfera sotto forma di lapilli, cioè frammenti solidi.
Oltre alle distruzioni provocate nelle aree vicine, le eruzioni vulcaniche particolarmente violente possono portare ad un abbassamento della temperatura su tutto il pianeta, se le particelle emesse raggiungono la stratosfera, ossia il secondo strato dell’atmosfera a partire dalla superficie: tale fenomeno si verificò nel 1818, in conseguenza dell’eruzione, avvenuta tre anni prima, del vulcano Tambora, nelle isole della Sonda.
Nel 1833, invece, l’esplosione del Krakatoa (ancora nelle isole della Sonda) provocò un’onda alta quaranta metri, che si riversò sulle coste asiatiche per una lunghezza di alcune centinaia di chilometri, provocando circa 36.000 morti.

Eruzione del vulcano Puyehue-Cordon Caulle (Cile) nel 2011, dopo oltre 50 anni di inattività

Esistono altri fenomeni associati al vulcanesimo. Tra questi vi sono i geyser, che sono delle sorgenti intermittenti, che si creano in aree in cui il magma si trova relativamente vicino alla superficie (5-10 chilometri di profondità) e le rocce sotterranee hanno perciò una temperatura molto elevata. L’acqua presente in profondità, a contatto con le rocce ad alta temperatura, si surriscalda, ma non si trasforma in vapore a causa della pressione dello strato superficiale di acqua, meno caldo. Progressivamente, però, la pressione dello strato più profondo di acqua, a temperatura sempre maggiore, spinge verso l’alto l’acqua superficiale, facendola traboccare. Quando una parte dell’acqua di superficie esce, la pressione che essa esercita sulla colonna d’acqua in profondità diminuisce improvvisamente, cosicché l’acqua in profondità comincia a bollire e si crea una colonna di vapore che spinge con violenza tutta l’acqua superficiale al di fuori del condotto. Dopo l’emissione di acqua e vapore il geyser diviene inattivo, ma l’acqua torna a riempire il deposito sotterraneo e il ciclo si ripete fino a una nuova eruzione. Il fenomeno dei geyser è diffuso nell’Islanda e nell’America settentrionale (parco di Yellowstone).

Un’eruzione del geyser Old Faithful nel Parco di Yellowstone; questo geyser erutta con una certa regolarità una volta ogni 65-92 minuti

Altri fenomeni di tipi vulcanico sono le emissioni di vapori, come le fumarole, le solfatare, le sorgenti calde e i soffioni boraciferi.
Poiché, come abbiamo visto, i vulcani si trovano principalmente ai margini delle zolle, sul nostro pianeta vi sono delle aree particolarmente ricche di vulcani:
- la cosiddetta Cintura di fuoco del Pacifico (posta tutto attorno a tale oceano), ai margini delle zolle sud-americana, nord-americana, euroasiatica, filippina e indo-australiana;
- lungo le dorsali oceaniche
- al margine inferiore della zolla euroasiatica, dove essa si trova a contatto con le zolle ellenica, arabica e indo-australiana
- lungo le grandi faglie, in particolare la Rift Valley africana.

Carta delle maggiori zolle presenti sulla Terra
(si noti attorno alla zona colorata in giallo a sinistra la Cintura di Fuoco, che interessa tutta 
la costa orientale asiatica e quella occidentale del Nord America)

I terremoti (o sismi) sono vibrazioni rapide ed improvvise della crosta terrestre: possono provocare scosse sussultorie (con un movimento dall’alto al basso) o scosse ondulatorie (con movimento orizzontale) e la loro durata può variare, pur essendo di solito molto breve: alcuni secondi o al massimo decine di secondi. Si possono però avere più scosse a breve distanza l’una dall’altra.
I terremoti avvengono a profondità molto diverse, anche 700 chilometri al di sotto della superficie terrestre. In un anno si hanno circa 800.000 scosse (che vuol dire, in media, più di 2.000 scosse al giorno!), ma noi percepiamo solo i terremoti più forti che si verificano vicino alla superficie: quando l’ipocentro (il punto da cui hanno origine le vibrazioni) è situato a grande profondità, il terremoto può essere rilevato solo dai sismografi, gli strumenti che misurano i movimenti del terreno. Il terremoto ha un’intensità massima nell’epicentro, il punto della superficie più vicino all’ipocentro. Man mano che si allontano dall’epicentro, le scosse perdono d’intensità. Se l’epicentro è situato sul fondo marino o vicino alla costa, si può avere un maremoto (oggi chiamato internazionalmente tsunami), cioè un violento scuotimento delle acque marine, che provoca onde gigantesche. Nel 2004 un violentissimo maremoto ha colpito l’intero sud-est asiatico, dopo che un terremoto si era originato al largo dell’isola di Sumatra (Indonesia): in quell’occasione terremoto e conseguente tsunami hanno provocato dalle 230 alle 280.000 vittime.

Veduta satellitare della costa indonesiana prima e dopo lo tsunami del 2004

In base alle registrazioni dei sismografi viene calcolata l’energia prodotta dal terremoto, secondo la scala dello scienziato Richter, con valori (magnitudo) da 0 a 8: maggiore è la magnitudo, maggiore è l’energia prodotta dal sisma. Tale sistema di misurazione ha sostituito la scala Mercalli, meno precisa, che misura l’intensità del terremoto in base alle sue conseguenze visibili.
Come i fenomeni vulcanici i terremoti sono legati ai movimenti delle zolle e dipendono dalle stesse forze. Essi si originano quando una zolla sprofonda o entra in collisione con un’altra, oppure quando il magma risale in superficie, generando pressioni fortissime. Perciò i terremoti di verificano ai margini delle zolle e nelle aree di frattura, perciò sono particolarmente frequenti nelle stesse regioni della superficie terrestre in cui sono concentrati anche i vulcani.
Le conseguenze dei terremoti dipendono ovviamente dalla loro natura ed intensità e dalle caratteristiche degli insediamenti umani nella regione colpita.
Terremoti di lunga durata o in cui si manifestano scosse sia sussultorie, sia ondulatorie, sottopongono gli edifici a tensioni molto forti, provocandone facilmente il crollo. Terremoti particolarmente intensi possono radere al suolo intere città, come a Messina nel 1908 (il 91 % delle abitazioni venne distrutto e ci furono 80.000 morti, o, secondo altre valutazioni, 100.000).

Un’immagine di Messina dopo il terremoto del 1908

Per ridurre le conseguenze dei terremoti, in tutte le zone colpite con maggiore frequenza gli edifici vengono progettati secondo criteri particolari, detti antisismici: nelle costruzioni si fa uso di cemento armato, che si ottiene incorporando barre di ferro o acciaio nel cemento, perché gli edifici così costruiti sono in grado di resistere meglio a scosse violente, mentre gli edifici interamente in muratura o in pietra crollano più facilmente. In questo modo i danni provocati da terremoti anche violenti possono essere molto ridotti: è quanto avviene in Giappone, paese ad elevata sismicità. Qui, nella regione del Tōhoku (nella parte nordorientale dell’isola di Honshu), nel 2011 si è verificato il terremoto più intenso registrato in Giappone, che ha provocato più di 15.000 vittime, la gran parte delle quali è morta come conseguenza dello tsunami che è stato generato dal sisma; molte abitazioni sono state comunque distrutte, segno che anche costruire secondo criteri antisismici non assicura completamente di evitare gli effetti di un terremoto. Questo sisma (come altri di particolare intensità) ha avuto conseguenze sull’intero pianeta: per esempio l’asse terrestre (l’asse attorno al quale la Terra ruota su se stessa) si è spostato di circa 17 centimetri.

Lo tsunami del Tōhoku nel 2011


Effetti del terremoto/ tsunami del Tōhoku



lunedì 4 gennaio 2016

34 Il pianeta Terra: la superficie


 IL PIANETA TERRA: LA SUPERFICIE

La superficie della Terra è coperta per il 70% da uno strato d’acqua, che forma oceani e mari: esso ha uno spessore massimo di circa 11 chilometri e circonda completamente le terre emerse. Queste non sono unite le une alle altre, ma formano alcune grandi masse continentali, ognuna delle quali è circondata dall’oceano:
- l’America, che per ragioni fisiche (la presenza di due grandi masse unite da un istmo relativamente sottile) viene anche distinta in America del Nord e America del Sud;
- l’Eurasia, che forma un blocco fisico unico, ma che per motivi storico-culturali viene distinta in Europa e Asia;
- l’Africa, un tozzo blocco terrestre unito all’Asia dal sottile istmo di Suez;
- l’Oceania, formata dalla grande massa dell’Australia, dalle isole della Nuova Zelanda e della Nuova Guinea (ma solo la parte orientale viene considerata appartenente a questo continente) e da una serie di isole minori sparpagliate nell’oceano;
- l’Antartide, la massa terrestre che ricopre il Polo Sud.


La presenza di questi continenti fa sì che la massa d’acqua sulla superficie terrestre venga distinta in 3 grandi oceani, collegati l’uno all’altro: il Pacifico, l’Atlantico, l’Indiano.


I continenti e gli oceani attuali, però, non hanno sempre avuto le forme attuali; per comprendere i cambiamenti avvenuti sulla superficie del nostro pianeta, bisogna considerare la composizione della Terra e in particolare della sua superficie, che è assai più complessa di quanto può apparire osservando un planisfero.
La Terra, infatti, non è omogenea, ma è formata da strati diversi: al centro vi è un nucleo (si distingue solitamente un nucleo interno da un nucleo esterno), che ha un raggio di circa 3.500 chilometri ed è in parte liquido e in parte solido; esso è circondato da uno strato dello spessore di quasi 3.000 chilometri chiamato mantello; più esternamente si trova la crosta terrestre, che ha uno spessore variabile tra i 4 e i 70 chilometri.


Le temperature degli strati più interni della Terra sono certamente molto più alte di quelle superficiali, ma non siamo attualmente in grado di misurarle e non conosciamo con sicurezza neppure la composizione del mantello e del nucleo; su di essi gli scienziati possono solo formulare ipotesi.
Conosciamo sicuramente meglio la crosta terrestre: sappiamo che non è uno strato uniforme, in quanto varia sia per la composizione, sia per lo spessore. In base a questi elementi vengono distinti due tipi di crosta terrestre: quella oceanica e quella continentale.
Essi però non coincidono perfettamente con le aree coperte dagli oceani o occupate dai continenti: mentre la crosta oceanica è completamente sommersa dall’acqua, quella continentale, anche se emerge in gran parte, presenta vaste aree sommerse, che prendono il nome di piattaforma continentale.


Come la crosta continentale, anche la crosta oceanica presenta dei rilievi, tra cui i più importanti sono le dorsali: esse si estendono per quasi 80.000 chilometri attraverso gli oceani. Nell’oceano Atlantico e nell’oceano Indiano esse si trovano ad uguale distanza dai continenti, nell’oceano Pacifico e nel Mar glaciale Artico esse hanno invece un andamento meno regolare. In alcune aree ristrette, dove esiste una notevole attività vulcanica, le dorsali possono emergere dal mare, come avviene in Islanda.

La dorsale medio-atlantica, che affiora nell’Islanda di sud-ovest nel parco nazionale di Þingvellir:
la spaccatura centrale divide la zolla nord-americana (a sinistra) da quella euroasiatica

Oltre alle dorsali sono presenti fosse, ossia delle depressioni che superano anche i 10 chilometri (la più profonda è la Fossa delle Marianne, che si trova tra Giappone e l’isola di Papua Nuova Guinea e raggiunge gli 11 chilometri); le fosse si trovano prevalentemente nell’oceano Pacifico e spesso vicino ad esse si sono formate delle isole disposte ad arco ed estese anche per molte centinaia di chilometri.

Disegno ricostruttivo della Fossa delle Marianne, della sua collocazione e della fauna che vi vive

Sappiamo da tempo che la crosta terrestre è soggetta a grandi movimenti di sollevamento e di abbassamento: ad esempio in prossimità della cima dell’Everest, la più alta montagna della Terra, sono state ritrovate rocce sedimentarie di origine marina, che dimostrano come questa zona un tempo fosse sommersa dal mare. Oggi gli scienziati collegano questi fenomeni agli spostamenti delle zolle (o placche) in cui è divisa la crosta terrestre; le principali sono una decina e comprendono intere masse continentali o parte di esse, quali le zolle nord’americana, sud-americana, eurasiatica, africana, indo-australiana, arabica, pacifica.
Nuove zolle si possono creare nel tempo per il frantumarsi di quelle esistenti: ad esempio la zolla africana si sta spaccando in due lungo una frattura, detta Rift Valley, che si sta allargando progressivamente.

Veduta aerea del lago Malawi (tra Malawi e Mozambico), il più meridionale dei laghi che si sono formati nella spaccatura della Rift Valley

Le zolle sono blocchi rigidi, che si spostano scivolando sulle masse fluidi sottostanti: questo fenomeno fu ipotizzato dallo scienziato tedesco Alfred Wegener, che formulò la teoria della deriva dei continenti in un libro pubblicato nel 1915. Tale teoria (nata dalla semplice osservazione della conformazione simile delle coste dell’Africa orientale e dell’America meridionale) è stata confermata da studi successivi ed oggi la teoria chiamata della tettonica a zolle ci dà le prove di questo movimento dei continenti e anche della sua velocità: sappiamo che attualmente l’America si allontana dall’Europa di circa due centimetri l’anno. Lo studio di alcune caratteristiche delle rocce ci ha permesso di comprendere anche quale fosse la disposizione dei continenti in passato: in particolare sappiamo che gli attuali continenti si formarono in seguito alla divisione, avvenuta oltre 200 milioni di anni fa, di un unico grande continente, che gli scienziati chiamano Terra di Gondwana.

Ricostruzione dei continenti 200 milioni di anni fa circa, quando il blocco della Terra di Gondwana cominciò a spezzarsi in masse più piccole

Sulle cause del movimento delle zolle esistono diverse ipotesi, su cui non tutti gli scienziati sono pienamente d’accordo. Sappiamo che questo movimento è reso possibile dal calore che si produce nel mantello terrestre e nel nucleo (per la presenza in essi di materiali radioattivi) e che porta alla fusione di alcune rocce e alla formazione di magma: il magma infatti è costituito da rocce fuse, in cui si possono a volte trovare frammenti di rocce allo stato solido e gas disciolti. Secondo molti scienziati al di sotto delle zolle si formerebbero vere e proprie correnti magmatiche, che provocherebbero lo spostamento delle zolle stesse; semplificando, si potrebbe dire che le zolle sono come delle gigantesche zattere mosse da un mare di magma.
Il materiale magmatico proveniente dal mantello può anche uscire in superficie. Ciò avviene in particolare lungo i margini oceanici delle zolle, dove la crosta terrestre è più sottile: qui il materiale che fuoriesce, ad alta temperatura e perciò fuso, si raffredda al contatto con l’acqua e forma nuove rocce. È in questo modo che si sono formate le dorsali oceaniche. Una riprova di questa ipotesi è data dal fatto che, poiché l’emissione di magma e il movimento delle zolle sono continui, lungo le dorsali oceaniche troviamo rocce di formazione molto recente, mentre man mano che ci si allontana dalle dorsali si incontrano rocce di formazione più antica.

Magma solidificato sul fondo dell’oceano; le dorsali sono formate da questo tipo di rocce

Se le dorsali, dunque, costituiscono i margini in accrescimento del nostro pianeta (cioè, per dirla in termini più semplici, gli spazi al margine di una zolla in cui nuovi rilievi si formano), le fosse oceaniche sono invece i margini consuntivi, cioè le zone in cui una zolla, spinta dalle correnti magmatiche, sprofonda fino a scomparire nel mantello. Dalla zolla che sprofonda, però, si staccano sedimenti che si accumulano ai lati della fossa, formando rilievi sottomarini che possono crescere fino ad emergere dalle acque e creando così gli archi di isole di cui si è detto prima.
Il movimento delle zolle e gli scambi continui di materia tra crosta terrestre e mantello sono all’origine della formazione delle montagne, dei fenomeni vulcanici e dei terremoti, che si manifestano nelle zone marginali delle placche.

L’isola di Simushir, cha fa parte dell’arcipelago delle Curili (Russia);
non solo l’arcipelago ha una forma ad arco, ma tutte le isole che lo compongono si caratterizzano
per la forma lunga e stretta, la presenza di vulcani e i frequenti terremoti