LA BIOSFERA
Temperature, precipitazioni e
venti determinano le condizioni climatiche di una regione; queste, a loro
volta, permettono la formazione di ambienti naturali molto diversi gli uno
dagli altri, come la steppa o la taiga, il deserto o la foresta equatoriale.
Se il clima è relativamente
uniforme in un’area molto vasta, questi ambienti naturali possono estendersi su
ampi territori della superficie terrestre. All’interno di ogni ambiente
naturale, o ecosistema, si trovano diverse specie viventi: le specie vegetali
sono in grado di produrre attraverso la fotosintesi clorofilliana le sostanze
di cui hanno bisogno per crescere e sono perciò dette produttori; le specie
animali possono procurarsi queste sostanze solo cibandosi di piante o di altri
animali e sono perciò dette consumatori.
La vegetazione della taiga e le zebre africane costituiscono specie
viventi assai diverse: entrambe, però, rendono il pianeta Terra diverso da
tutti gli altri pianeti conosciuti
L’esistenza di ogni specie
dipende dalle condizioni ambientali: un organismo è in grado di sopravvivere
solo in certi tipi di suolo, entro determinati limiti di temperatura, di
intensità di luce, di umidità, di salinità. La vita di ogni specie dipende
anche da quella delle altre specie presenti in quell’ambiente: alcune
costituiscono il cibo di cui l’organismo si nutre; altre sono invece predatori
da cui bisogna difendersi, o parassiti, che possono portare malattie e morte;
altre ancora, ad esempio gli alberi, possono fornire un rifugio; altre infine
sono concorrenti, perché si nutrono dello stesso cibo, oppure scelgono gli
stessi luoghi di riproduzione.
In genere ogni specie vivente
occupa all’interno dell’ambiente un posto preciso, detto nicchia ecologica, che
è definito da tutte le sue relazioni con le altre specie viventi e con
l’ambiente fisico.
L’immagine seguente è un esempio
di nicchia ecologica: riguarda un faggio, con alcune delle diverse specie
viventi che vi possono trovare nutrimento, riparo, condizioni ideali di vita.
La nicchia di una specie non
coincide mai completamente con quella di un’altra specie, anche se può
sovrapporsi in parte: alcune piante o animali possono ad esempio costituire un
cibo per due specie diverse, che però si nutrono anche di altre piante o
animali, differenti.
Le relazioni tra le diverse
specie viventi sono perciò molto complesse, ma all’interno di un ecosistema
esiste un equilibrio, che tende a ristabilirsi se viene modificato, ad esempio
per l’aumento del numero di esemplari di una specie. In alcuni casi però
l’equilibrio può essere alterato definitivamente: ad esempio una specie vivente
viene distrutta completamente da un parassita, da un predatore o dall’uomo;
oppure le condizioni climatiche cambiano, provocando la scomparsa di alcune
specie e la comparsa di altre. Se crea allora un nuovo equilibrio naturale:
questo si è verificato molte volte nella storia della vita sulla Terra, sia in
aree ristrette, sia su tutto il pianeta.
Le specie viventi presenti sulla
Terra oggi sono assai diverse da quelle che popolavano il pianeta milioni di
anni fa: molte specie sono scomparse, altre si sono evolute fino a modificarsi
profondamente, mentre solo alcune si sono conservate con poche trasformazioni
per decine di milioni di anni.
Il varano di Komodo, che vive in Indonesia, è uno degli ultimi grandi
sauri che un tempo popolavano la Terra
Questi cambiamenti sono avvenuti
nel corso di centinaia di milioni di anni (o anche di miliardi di anni), in un
lento processo di evoluzione. Tuttavia si sono avuti nella storia della Terra
periodi in cui si è verificata un’estinzione di massa, per motivi che gli
scienziati non sono attualmente in grado di spiegare se non in via teorica:
circa 250 milioni di anni fa scomparve il 60% delle specie viventi, 65 milioni
di anni fa circa il 50%, tra cui tutti i dinosauri. Molti scienziati suppongono
che tali estinzioni siano dipese da eventi catastrofici, quali ad esempio la
disintegrazione di un meteorite sulla terra o un’eruzione vulcanica di
dimensioni eccezionali: tali eventi potrebbero aver prodotto una nuvola di
pulviscolo che, rimanendo per anni nella stratosfera, avrebbe ridotto le
radiazioni solari, provocando un raffreddamento del clima. È certo che il clima
cambiò più volte nella storia della Terra, come testimoniano anche le glaciazioni.
Immagine ricostruttiva di una glaciazione nell’emisfero settentrionale
Quando si verificarono queste
trasformazioni, alcune specie sopravvissero perché riuscirono ad adattarsi alle
nuove condizioni di vita, altre invece si estinsero completamente, altre ancora
furono avvantaggiate dai mutamenti, ad esempio perché scomparvero i loro
predatori o le specie con cui erano in competizione, e si diffusero.
L’adattamento alle nuove
condizioni di vita è effetto della selezione naturale, per cui all’interno di
una specie vivente gli individui più adatti a sopravvivere riescono a
raggiungere l’età adulta e si riproducono, generando figli che hanno
caratteristiche simili alle loro: la scimmia più abile nell’arrampicarsi, il
ghepardo più veloce nell’inseguire la preda, l’insetto che ha il colore e la
forma dei vegetali tra cui vive, hanno maggiori possibilità di nutrirsi e
sfuggire ai predatori. Invece gli individui meno adatti a sopravvivere vengono
facilmente eliminati già da piccoli: lo stambecco meno resistente al freddo
morirà durante l’inverno, il leone meno abile nella caccia sarà denutrito e
malato, la pianta commestibile priva di spine o di altre difese sarà facilmente
divorata dagli erbivori.
A sinistra un Tropidoderus childrenii (un insetto mimetizzato tra
l’erba), può sfuggire ai predatori; a destra un leone ha raggiunto una gazzella
più debole delle altre
La selezione naturale ha permesso
l’evoluzione delle specie viventi, uomo compreso: tra gli ominidi e poi tra gli
uomini l’elemento più importante per la selezione naturale fu l’intelligenza,
che determinava la loro capacità di adattarsi all’ambiente, sfruttandone le
risorse.
L’immenso numero di specie
viventi presenti sulla Terra viene indicato con il termine biodiversità.
Attualmente le specie classificate sono circa un milione e mezzo, ma alcuni
studiosi stimano che ve ne siano in effetti da 30 a 100 milioni. Essenziale per
il mantenimento degli equilibri naturali e degli ecosistemi, la biodiversità
biologica conosciuta è negli ultimi decenni molto diminuita, a causa
dell’aumento della popolazione umana e del suo insediamento in ogni regione
terrestre, nonché di certi suoi sistemi produttivi, in particolare l’uso
massiccio di concimi e antiparassitari chimici nell’agricoltura. È stato calcolato
che ogni anno scompaiono da 10.000 a 20.000 specie diverse.
A causare la diminuzione della
biodiversità sono due altre attività umane sempre più frequenti:
-
la scelta di un numero sempre più ristretto di specie
vegetali e animali per le coltivazioni e l’allevamento (quelle più adatte – o
ritenute tali – alla distribuzione e al commercio)
-
la deforestazione, specialmente delle foreste
tropicali, le quali, pur ricoprendo solo il 5% del pianeta, ospitano la metà
circa della biodiversità terrestre.
Le foreste equatoriali (come quella amazzonica in Perù nella foto) sono
ricche di specie vegetali e animali che ancora non conosciamo
Esaminiamo ora gli ambienti
naturali più significativi presenti sul pianeta.
GLI AMBIENTI MARINI
Nelle acque degli oceani vivono
numerose specie vegetali e animali, alcune delle quali si spingono fino nelle
fosse oceaniche, ad oltre 11.000 metri di profondità. All’interno degli oceani
la distribuzione delle specie dipende soprattutto dalla profondità, dalla
temperatura e dalla salinità dell’acqua. Va comunque tenuto presente che,
nonostante questa varietà di condizioni dell’acqua, gli organismi marini sono
assai meno diversificati di quelli terrestri: in acqua non esistono limiti alla
diffusione delle specie viventi, mentre le terre emerse sono divise in isole e
continenti, separati gli uni dagli altri, e presentano al loro interno rilievi
e depressioni, zone umide e deserti, tutti elementi che contribuiscono alla
biodiversità.
La flora e la fauna marine sono
costituite da due tipi di organismi differenti:
1-
quelli che vivono nella colonna d’acqua e sono detti
pelagici (dal greco pélagos = mare)
2-
quelli che vivono sul fondo marino e sono detti bentici
(dal greco bénthos = profondità)
Sui fondali del Mar Rosso (Egitto)
Tra le specie pelagiche vi sono
piccoli organismi che vivono sospesi nell’acqua e vengono trascinati dalle
correnti: si tratta del plancton, che si suddivide in fitoplancton (vegetale) e
zooplancton (animale). Il fitoplancton è essenziale per la vita nelle acque
marine: è formato da alghe composte da una sola cellula, di dimensioni
minuscole, con un diametro di solito inferiore al mezzo millimetro. Il
fitoplancton costituisce il nutrimento dello zooplancton e di molte specie di
pesci e di altri organismi.
Il plancton si trova soprattutto
dove il mare è meno profondo, in particolare lungo le piattaforme continentali:
qui si trovano perciò le maggiori concentrazioni di organismi viventi e le
principali zone di pesca.
Il fenomeno della bioluminescenza del plancton nelle acque atlantiche
del Messico
Accanto al plancton vivono altri
organismi, di dimensioni maggiori, che sono in grado di spostarsi liberamente,
anche contrastando le correnti: è il caso dei pesci e dei mammiferi marini,
quali le balene o i delfini.
Una balena emerge dalle acque oceaniche al largo del Messico
Sul fondo marino vivono organismi
diversi da quelli presenti nella colonna d’acqua. Vicino alla costa, dove il
mare è meno profondo vi si trovano vegetali in grado di compiere la fotosintesi
clorofilliana, come le alghe, e numerosi animali che si nutrono di alghe o di
altri consumatori; invece oltre i 30 metri di profondità la fotosintesi non può
avvenire per mancanza di luce e gli organismi sono quasi esclusivamente
consumatori.
Le alghe kelp, nelle acque della California (U.S.A.) hanno creato una
foresta sottomarina
Il cibo di cui si nutrono è
perciò quello prodotto nelle acque superficiali o nelle aree costiere, ed in
questo caso è costituito in prevalenza da detriti organici che scendono in profondità,
oppure è formato dagli altri organismi presenti. Molti di questi animali vivono
nascosti tra i detriti del fondo marino, dove trovano cibo e sfuggono più
facilmente ai predatori. Altri rimangono stabili, fissati alle rocce, perché la
caduta di detriti e la presenza di correnti fornisce loro sempre nuovo cibo:
questi animali formano colonie anche molto numerose e, non potendo sfuggire ai
predatori perché non sono in grado di spostarsi, posseggono difese chimiche, ad
esempio sostanze urticanti, o parti coriacee, che formano gusci di protezione.
Fondo marino nell’Oceano Indiano presso le Isole Mauritius
Le coste costituiscono un
ambiente naturale diverso dagli altri per la presenza contemporanea di elementi
terrestri e marini. Lungo le coste rocciose le formazioni più importanti, per
l’estensione e per la ricchezza di forme di vita, sono le scogliere coralline,
che si sviluppano per oltre 190 milioni di chilometri e ospitano una fauna
ricchissima. I coralli sono organismi animali che sono avvolti da una struttura
protettiva molto solida, formata da carbonato di calcio. Essi vivono
esclusivamente in acque calde, a temperature tra i 25° e i 29°, e poco
profonde, a meno di 10 metri dal livello dell’acqua. I coralli formano
scogliere, che a volte possono costituire lunghe barriere: la grande barriera
corallina australiana, sul bordo della piattaforma continentale, ha una
lunghezza di 2.200 chilometri.
Splendidi coralli nella Grande Barriera australiana
Le formazioni coralline si
trovano oggi anche molto lontano dalle coste, perché dopo l’ultima glaciazione
il livello degli oceani si è innalzato per lo scioglimento dei ghiacci ed ha
sommerso le aree continentali meno elevate. Le formazioni coralline, presenti
vicino alla costa, si sono così trovate a profondità maggiori, a cui non
avrebbero potuto vivere; molto spesso nuovi coralli sono cresciuti sugli strati
inferiori, riuscendo a rimanere in acque superficiali, mentre la parte
inferiore, ormai morta, si trasformava in rocce sedimentarie. Altre scogliere
coralline, invece, si sono sviluppate sulla cima di montagne sottomarine,
formando isole coralline, chiamate atolli, assai numerosi nell’Oceano Pacifico.
Veduta aerea di un atollo in Australia
Le coste sabbiose sono
caratterizzate da una forte instabilità: esse infatti tendono a evolvere nel
corso del tempo per l’accumulo di detriti e per gli effetti dell’erosione e si
trasformano a un ritmo relativamente rapido.
Tra gli ambienti presenti lungo
le coste sabbiose degli oceani troviamo le lagune, gli stagni salmastri (cioè
di acqua salata), dove prevale una vegetazione di erbe e arbusti, e le paludi a
mangrovie, caratterizzate da una vegetazione arborea.
Lo sviluppo della vegetazione sul
fondo sabbioso provoca una trasformazione della costa, perché ostacola i
movimenti dell’acqua, in particolare le maree, favorendo l’ulteriore accumulo
di detriti sul fondo marino, che progressivamente si alza, mentre la
vegetazione diviene più rigogliosa. Essa rimane ancora sommersa, almeno in
parte, nei periodi di alta marea, quando all’interno dello stagno si possono
trovare pesci, mentre durante le basse maree numerosi mammiferi possono
spingersi in questo ambiente per cibarsi. Uccelli, rettili, anfibi e scimmie vi
vivono regolarmente.
Non tutte le coste sabbiose sono
molto ricche di vegetazione: sono presenti anche vaste piane fangose povere di
flora e di fauna.
Palude a mangrovie in Giamaica
L’uomo modifica gli ambienti
oceanici ed in particolare quelli più vicini alle coste: molti centri abitati
sorgono in riva al mare e sono responsabili di inquinamento e di degrado, ad
esempio con la cementificazione di lunghi tratti costieri. Gli incidenti
petroliferi o lo scarico in mare dei bidoni contenenti rifiuti tossici hanno
effetti devastanti sull’ambiente marino. La pesca, che fornisce cibo ed altri
prodotti utili per l’alimentazione animale e le industrie, ha impoverito le
riserve di pesce in molti mari. La caccia alle balene, da cui si ricava carne,
olio e materiali utilizzati dalle industrie del sapone, ha portato questi
cetacei sull’orlo dell’estinzione, ma tante altre specie marine sono minacciate
allo stesso modo. Persino i coralli: negli ultimi 40 anni è andato perduto
oltre l’80% dei coralli nel Mar dei Caraibi e il riscaldamento globale ha
provocato nel 2015 lo sbiancamento (ossia la perdita di colore, dovuta a
un’alterazione dell’ecosistema marino) del 38% dei coralli in tutto il mondo. È
del 2016 la notizia che alcuni biologi statunitensi sono riusciti a far nascere
in laboratorio coralli di una specie a rischio tramite fecondazione
artificiale, capaci di sopravvivere una volta reintrodotti nel loro habitat e
di riprodursi naturalmente; ciò permetterebbe il ripopolamento delle barriere
coralline. Se, a volte, la scienza riesce a darci buone notizie sul futuro della
biodiversità terrestre, non sempre i governi riescono a fare altrettanto.
Un sub nel fondo marino, tra pesci e coralli, dell’isola di Curaçao (Mar dei Caraibi):
vale la pena difendere un ambiente come questo?
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