La precedente lezione su natalità
e mortalità nel mondo e quindi sull’incremento demografico sulla Terra ha già
evidenziato due fattori fondamentali con cui misurare il grado di sviluppo di
uno Stato: la salute e l’istruzione.
La durata media della vita umana,
spesso indicata come speranza di vita alla nascita, varia da regione a regione
della terra. Nei paesi ricchi le persone vivono in media attorno agli 80 anni
(secondo dati forniti dalla CIA per il 2014), anche se spesso vi è una notevole
differenza fra la speranza di vita degli uomini, inferiore, e quella delle donne,
superiore: in Giappone gli uomini vivono in media fino a 82 anni, le donne fino
a quasi 89; in Nuova Zelanda gli uomini 78, le donne 82; negli Stati Uniti gli
uomini 76, le donne 80.
Anziani a Osaka (Giappone)
Nei paesi del Terzo Mondo invece
la speranza di vita è spesso inferiore a 60 anni, come avviene ad esempio in
Costa d’Avorio (58,1) o nella Repubblica Democratica del Congo (56,5), ma può
anche non raggiungere i 55 anni, come accade oggi in una ventina di paesi,
quali il Burkina Faso (54,7), la Nigeria (52,6), la Somalia (51,5),
l’Afghanistan (50,4), il Sudafrica (49,5), il Ciad (49,4). Le differenze nella
speranza di vita dipendono dalle diverse situazioni di questi paesi.
Nelle regioni più ricche
l’alimentazione è più che sufficiente, le condizioni igieniche sono
soddisfacenti e l’assistenza sanitaria è più sviluppata; qui, ma anche in molte
altre parti del pianeta, la mortalità è relativamente bassa, inferiore all’1%.
Il tasso di mortalità nel mondo: in colore azzurro dove è inferiore all’1%,
in colori caldi dove supera l’1%
La mortalità nei paesi
economicamente più sviluppati dipende soprattutto da alcune malattie (dette
appunto “malattie del benessere”) che colpiscono prevalentemente le persone
anziane, quali i tumori e i disturbi dell’apparato cardiocircolatorio. La
sempre maggiore diffusione dei tumori viene collegata dai medici alle
condizioni ambientali: in particolare l’inquinamento atmosferico è, con il
fumo, una delle cause principali del cancro ai polmoni, mentre lo sviluppo di
altre forme di tumore è favorito dalla presenza di sostanze dannose nel cibo. I
disturbi dell’apparato cardiocircolatorio sono spesso provocati dai ritmi di
vita della società industriale, che creano forti tensioni ed affaticano il
cuore, ma sono anche favoriti da un’alimentazione sbagliata, troppo ricca di
grassi, dall’inattività fisica, dall’uso di alcol e droghe.
Alcolisti russi e tossicodipendente europeo
Tipica malattia del benessere è l’obesità,
che interessa circa 300 milioni di adulti nel mondo ed è in aumento tra
adolescenti e bambini; la situazione è particolarmente preoccupante negli Stati
Uniti, dove dal 1970 ad oggi il numero di obesi è quasi raddoppiato e interessa
circa il 30% della popolazione. L’obesità porta con sé altre patologie, oltre a
quelle cardiovascolari: ad esempio il diabete, assai diffuso nei paesi ricchi.
Un uomo obeso negli Stati Uniti
Nei paesi in cui la mortalità
supera l’1% (tra gli Stati più sviluppati va notato soprattutto il caso della
Russia), si verificano diverse situazioni, ma la più triste è quella dell’alimentazione
insufficiente. Oggi la popolazione mondiale consuma mediamente 2.800
kilocalorie (cioè l’unità di misura del contenuto energetico dei cibi) al
giorno per abitante, il che corrisponde a un livello sufficiente a garantire
una corretta alimentazione. Purtroppo il dato medio nasconde la realtà dei
fatti: nei paesi sviluppati il consumo di calorie è adeguato o addirittura
eccessivo (in Francia è di 3.500 calorie, negli USA di 3.650), mentre nel terzo
Mondo è spesso al di sotto della media mondiale.
Un negozio di alimentari in Canada: un normale consuetudine nei paesi
industrializzati
Più di 800 milioni di persone
sulla Terra soffrono oggi di denutrizione, cioè non hanno cibo a sufficienza
(consumi inferiori alle 2.000 calorie) e la fame cronica provoca ogni anno
milioni di morti. A queste persone vanno aggiunti i 2 miliardi di individui
affetti da malnutrizione, ossia hanno un’alimentazione carente di alcune
sostanze indispensabili per l’organismo umano (proteine, vitamine e sali minerali).
Infatti in molti paesi poveri la popolazione si ciba quasi esclusivamente di
cereali (come riso, frumento, mais, miglio, con cui si preparano pane, pasta,
polenta o tortillas) che, pur essendo un alimento importante, sono privi delle
proteine necessarie allo sviluppo del corpo umano, presenti invece nella carne
e nei legumi.
Bambino denutrito nel Sudan del Sud
L’alimentazione insufficiente o
squilibrata può provocare direttamente la morte ed in generale riduce le difese
dell’organismo: nei bambini è causa di gravi malattie e diminuisce le capacità
di studio e di lavoro, ossia è responsabile del mantenimento dei paesi poveri a
livelli di sottosviluppo.
Anche la mancanza di acqua
potabile e un’insufficiente assistenza medico-sanitaria provocano la diffusione
di malattie nei paesi poveri: nel Terzo Mondo oltre un miliardo e 400 milioni
di persone non hanno a disposizione acqua potabile e questo rende più difficile
il rispetto delle norme igieniche e favorisce la diffusione di disturbi
intestinali. Oggi l’acqua sta diventando una risorsa sempre più scarsa e
costosa, a causa dell’aumento dei consumi nei paesi ricchi, dell’inquinamento,
dello spreco e della privatizzazione delle risorse idriche. Proprio intorno al
possesso delle risorse idriche stanno scoppiando nuove controversie, come
quella tra Israeliani e Palestinesi per il controllo dell’acqua del fiume
Giordano, o quella che coinvolge Egitto ed Etiopia da una parte e Sudan e Uganda
dall’altra per le acque del Nilo.
Tre ragazze caricano un mulo dell’acqua trovata nel deserto della
Somalia: la ricerca dell’acqua è un’occupazione tipica delle donne nei paesi
carenti di questo bene primario
L’assistenza medica è del tutto
insufficiente, perché a causa della mancanza di fondi non vi sono medici,
ospedali e medicine: circa un miliardo e mezzo di abitanti del Terzo Mondo non
possono usufruire di un servizio sanitario nazionale. Nei paesi poverissimi si
trova un medico ogni 10.000 abitanti, contro uno ogni 300 abitanti dei paesi
ricchi. Nei paesi poveri sono ampiamente diffuse malattie che potrebbero essere
curate con i medicinali a nostra disposizione (come il morbillo e la diarrea):
mancano però i medicinali ed anche quando sono disponibili i loro costi sono
troppo alti per la maggioranza della popolazione. A causa della mancanza di
un’assistenza sanitaria adeguata, molti bambini non vengono vaccinati contro le
principali malattie e là dove sono praticate in condizioni igieniche scadenti,
le stesse vaccinazioni possono rappresentare un veicolo di infezione, perché
viene più volte riutilizzato lo stesso ago, che può entrare in contatto con i
virus presenti nel sangue di un bambino malato e trasmetterli ai bambini sani.
Un trentenne colpito da poliomielite in una strada di Karachi
(Pakistan): la vaccinazione gli avrebbe permesso una vita migliore
Malattie infettive come la
tubercolosi e la malaria (debellate nei paesi progrediti) affliggono ancora la
popolazione dei paesi in via di sviluppo: gli organismi medici delle Nazioni
Unite affermano che la mortalità per malaria potrebbe calare se soltanto le
abitazioni fossero dotate di zanzariere, ma in molti Stati africani non sono
disponibili nemmeno mezzi così semplici.
Molto alta è la mortalità legata
all’Aids (2,4 milioni di vittime all’anno in Africa). Nigeria, Sudafrica e
India sono i tre paesi nei quali la malattia ha provocato il maggior numero di
morti; India, Kenya e Stati Uniti sono i tre paesi con il più alto numero di
persone malate di Aids.
Nuove malattie e nuove pandemie minacciano
periodicamente il mondo: come la SARS (sindrome acuta respiratoria grave), apparsa
in Cina nel 2002 e identificata dal medico italiano Carlo Urbani; o come l’epidemia
di virus Ebola che ha colpito nel 2014 l’Africa occidentale.
Murale informativo sul virus Ebola a Monrovia, capitale della Liberia
Se dal 1990 ad oggi la mortalità
legata alla gravidanza e al parto è stata dimezzata nel mondo, essa è ancora
diffusa in alcune regioni, in particolare quelle economicamente
sottosviluppate: il tasso di mortalità materna che nei paesi industrializzati è
mediamente di 12 decessi su 100.000 parti, sale a 500 nell’Africa a sud del Sahara.
L’85% dei casi di morte per parto avvengono proprio nell’Africa subsahariana e
nell’Asia meridionale.
Tasso di mortalità materna nel mondo: esso è più alto dove il colore è
più scuro
In questa situazione, in cui alla
povertà si unisce anche la carenza sanitaria, vanno riconosciute e sostenute
tutte quelle forme di volontariato medico che ci sono nel mondo: dall’italiana
Emergency (fondata nel 1994 da Gino Strada e Teresa Sarti) a Medici Senza
Frontiere (fondata a Parigi nel 1971 ed oggi diffusa internazionalmente), da
Save the Children International a Bambini nel Deserto (fondata in Italia nel
2000) e a tante altre.
Medici di Emergency curano un bambino a Kabul (Afghanistan)
Negli ultimi decenni l’istruzione
ha fatto molti passi in avanti nel mondo: il tasso mondiale di alfabetizzazione
degli adulti è infatti passato dal 48% del 1970 al 72% del 2000 e all’82% nel
2015: in quasi tutti i paesi è aumentata la percentuale delle persone che
frequentano le scuole e le università. Tuttavia gli analfabeti sono tuttora 775
milioni e vivono soprattutto in Africa e nell’Asia meridionale.
Anche nell’istruzione, quindi, si
registrano grandi differenze tra i vari Stati. In quasi tutti i paesi
industrializzati e anche in altri in via di sviluppo, infatti, il tasso di
alfabetizzazione sfiora il 100%, mentre in alcuni dei paesi più poveri del
mondo (in particolare nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale) l’analfabetismo
interessa più del 50% della popolazione. Pur non avendo a disposizione dati
sicuri e omogenei per anno di rilevamento, possiamo dire che l’analfabetismo è
presente soprattutto in Afghanistan (72%), Burkina Faso e Niger (71), Mali
(67), Ciad (65), Somalia (62), Etiopia (61), Guinea (59), Benin (58), Sierra Leone
(57), Haiti (51). In uno stato ormai molto progredito come l’India gli
analfabeti sono ancora il 37%.
Il tasso di alfabetizzazione nel mondo: esso è maggiore dove il colore
è più scuro
Ci sono tuttavia paesi come Cuba,
il Kazakistan, il Tagikistan, l’Azerbaigian, la Corea del Nord in cui il tasso
di alfabetizzazione ha raggiunto il 100% della popolazione, ed altri (Mongolia,
Brasile, Ecuador, Cina, Vietnam) in cui supera il 90% della popolazione. Questo
grazie a scelte precise compiute dai governi: ad esempio a Cuba e nella Corea
del Nord l’istruzione è pubblica e gratuita fino al livello universitario ed è
obbligatoria fino alla secondaria.
Una scuola infantile a Pyongyang (Corea del Nord): il ritratto del
dittatore coreano alla parete evidenzia, purtroppo, che più che istruzione qui
si sta facendo indottrinamento
All’interno di alcuni Stati vi
sono significative differenze nel livello di istruzione: in Marocco, ad
esempio, il tasso di analfabetismo è del 75% in campagna, mentre scende al 37%
in città.
Ma ancora più significativa è la
differenza tra sessi: i due terzi degli analfabeti sono donne, particolarmente
discriminate ed escluse dalle scuole negli Stati più arretrati. Qui soltanto il
50% delle bambine finisce la scuola primaria e circa 39 milioni di ragazze di
età compresa tra gli 11 e i 15 anni devono lasciare gli studi perché costrette
al matrimonio, alla procreazione e agli impegni domestici e lavorativi.
Donne del Malawi: quante di esse avranno ricevuto un’istruzione
adeguata?
In molti paesi avanzati esiste inoltre
il problema dell’analfabetismo di ritorno, ossia la perdita della capacità di
leggere e scrivere, dovuta alla mancanza di esercizio di queste abilità: in
particolare, negli USA e nel Regno Unito colpisce il 20% della popolazione
adulta delle classi meno abbienti, contro una media nazionale dello 0,5%.
Le differenze nei livelli di
istruzione sono in gran parte determinate dalla quantità di fondi che i diversi
governi utilizzano per le istituzioni scolastiche. Se guardiamo i dati
pubblicati dall’Unesco scopriamo, ad esempio, che nel 2014 il Sud Sudan ha
speso per l’istruzione l’1,71% del proprio PIL, lo Sri Lanka l’1,93%, l’Uganda
il 2,21%, il Pakistan il 2,46%, l’Afghanistan il 3,78%, l’Italia il 4,8%, gli
Usa il 5,38%, la Finlandia il 7,17%, il Bhutan il 7,36%, lo Zimbabwe l’8,43%. Queste
percentuali, in realtà, non dicono molto, poiché il PIL complessivo nei diversi
paesi è molto diverso; è maggiormente significativo un dato più generico, che
ci dice i paesi industrializzati spendono per l’istruzione in media più di 800
euro l’anno per abitante, contro i circa 40 euro dei paesi poveri.
L’impegno dei governi per l’istruzione
fa sì che mentre in Norvegia ci sono 7 alunni per maestro nelle scuole
elementari, in India ce ne sono 71 e nella Repubblica Centroafricana 99. In alcuni
paesi dell’Africa le difficoltà economiche hanno portato, come per la salute, a
una riduzione delle spese per l’istruzione e al crollo dei sistemi scolastici.
Una classe in Camerun
Un insegnante in una classe in India
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