giovedì 27 luglio 2017

49 La popolazione mondiale: salute e istruzione


La precedente lezione su natalità e mortalità nel mondo e quindi sull’incremento demografico sulla Terra ha già evidenziato due fattori fondamentali con cui misurare il grado di sviluppo di uno Stato: la salute e l’istruzione.
La durata media della vita umana, spesso indicata come speranza di vita alla nascita, varia da regione a regione della terra. Nei paesi ricchi le persone vivono in media attorno agli 80 anni (secondo dati forniti dalla CIA per il 2014), anche se spesso vi è una notevole differenza fra la speranza di vita degli uomini, inferiore, e quella delle donne, superiore: in Giappone gli uomini vivono in media fino a 82 anni, le donne fino a quasi 89; in Nuova Zelanda gli uomini 78, le donne 82; negli Stati Uniti gli uomini 76, le donne 80.

Anziani a Osaka (Giappone)

Nei paesi del Terzo Mondo invece la speranza di vita è spesso inferiore a 60 anni, come avviene ad esempio in Costa d’Avorio (58,1) o nella Repubblica Democratica del Congo (56,5), ma può anche non raggiungere i 55 anni, come accade oggi in una ventina di paesi, quali il Burkina Faso (54,7), la Nigeria (52,6), la Somalia (51,5), l’Afghanistan (50,4), il Sudafrica (49,5), il Ciad (49,4). Le differenze nella speranza di vita dipendono dalle diverse situazioni di questi paesi.
Nelle regioni più ricche l’alimentazione è più che sufficiente, le condizioni igieniche sono soddisfacenti e l’assistenza sanitaria è più sviluppata; qui, ma anche in molte altre parti del pianeta, la mortalità è relativamente bassa, inferiore all’1%.

Il tasso di mortalità nel mondo: in colore azzurro dove è inferiore all’1%, in colori caldi dove supera l’1%

La mortalità nei paesi economicamente più sviluppati dipende soprattutto da alcune malattie (dette appunto “malattie del benessere”) che colpiscono prevalentemente le persone anziane, quali i tumori e i disturbi dell’apparato cardiocircolatorio. La sempre maggiore diffusione dei tumori viene collegata dai medici alle condizioni ambientali: in particolare l’inquinamento atmosferico è, con il fumo, una delle cause principali del cancro ai polmoni, mentre lo sviluppo di altre forme di tumore è favorito dalla presenza di sostanze dannose nel cibo. I disturbi dell’apparato cardiocircolatorio sono spesso provocati dai ritmi di vita della società industriale, che creano forti tensioni ed affaticano il cuore, ma sono anche favoriti da un’alimentazione sbagliata, troppo ricca di grassi, dall’inattività fisica, dall’uso di alcol e droghe.

Alcolisti russi e tossicodipendente europeo

Tipica malattia del benessere è l’obesità, che interessa circa 300 milioni di adulti nel mondo ed è in aumento tra adolescenti e bambini; la situazione è particolarmente preoccupante negli Stati Uniti, dove dal 1970 ad oggi il numero di obesi è quasi raddoppiato e interessa circa il 30% della popolazione. L’obesità porta con sé altre patologie, oltre a quelle cardiovascolari: ad esempio il diabete, assai diffuso nei paesi ricchi.

Un uomo obeso negli Stati Uniti

Nei paesi in cui la mortalità supera l’1% (tra gli Stati più sviluppati va notato soprattutto il caso della Russia), si verificano diverse situazioni, ma la più triste è quella dell’alimentazione insufficiente. Oggi la popolazione mondiale consuma mediamente 2.800 kilocalorie (cioè l’unità di misura del contenuto energetico dei cibi) al giorno per abitante, il che corrisponde a un livello sufficiente a garantire una corretta alimentazione. Purtroppo il dato medio nasconde la realtà dei fatti: nei paesi sviluppati il consumo di calorie è adeguato o addirittura eccessivo (in Francia è di 3.500 calorie, negli USA di 3.650), mentre nel terzo Mondo è spesso al di sotto della media mondiale.

Un negozio di alimentari in Canada: un normale consuetudine nei paesi industrializzati

Più di 800 milioni di persone sulla Terra soffrono oggi di denutrizione, cioè non hanno cibo a sufficienza (consumi inferiori alle 2.000 calorie) e la fame cronica provoca ogni anno milioni di morti. A queste persone vanno aggiunti i 2 miliardi di individui affetti da malnutrizione, ossia hanno un’alimentazione carente di alcune sostanze indispensabili per l’organismo umano (proteine, vitamine e sali minerali). Infatti in molti paesi poveri la popolazione si ciba quasi esclusivamente di cereali (come riso, frumento, mais, miglio, con cui si preparano pane, pasta, polenta o tortillas) che, pur essendo un alimento importante, sono privi delle proteine necessarie allo sviluppo del corpo umano, presenti invece nella carne e nei legumi.

Bambino denutrito nel Sudan del Sud

L’alimentazione insufficiente o squilibrata può provocare direttamente la morte ed in generale riduce le difese dell’organismo: nei bambini è causa di gravi malattie e diminuisce le capacità di studio e di lavoro, ossia è responsabile del mantenimento dei paesi poveri a livelli di sottosviluppo.
Anche la mancanza di acqua potabile e un’insufficiente assistenza medico-sanitaria provocano la diffusione di malattie nei paesi poveri: nel Terzo Mondo oltre un miliardo e 400 milioni di persone non hanno a disposizione acqua potabile e questo rende più difficile il rispetto delle norme igieniche e favorisce la diffusione di disturbi intestinali. Oggi l’acqua sta diventando una risorsa sempre più scarsa e costosa, a causa dell’aumento dei consumi nei paesi ricchi, dell’inquinamento, dello spreco e della privatizzazione delle risorse idriche. Proprio intorno al possesso delle risorse idriche stanno scoppiando nuove controversie, come quella tra Israeliani e Palestinesi per il controllo dell’acqua del fiume Giordano, o quella che coinvolge Egitto ed Etiopia da una parte e Sudan e Uganda dall’altra per le acque del Nilo.

Tre ragazze caricano un mulo dell’acqua trovata nel deserto della Somalia: la ricerca dell’acqua è un’occupazione tipica delle donne nei paesi carenti di questo bene primario

L’assistenza medica è del tutto insufficiente, perché a causa della mancanza di fondi non vi sono medici, ospedali e medicine: circa un miliardo e mezzo di abitanti del Terzo Mondo non possono usufruire di un servizio sanitario nazionale. Nei paesi poverissimi si trova un medico ogni 10.000 abitanti, contro uno ogni 300 abitanti dei paesi ricchi. Nei paesi poveri sono ampiamente diffuse malattie che potrebbero essere curate con i medicinali a nostra disposizione (come il morbillo e la diarrea): mancano però i medicinali ed anche quando sono disponibili i loro costi sono troppo alti per la maggioranza della popolazione. A causa della mancanza di un’assistenza sanitaria adeguata, molti bambini non vengono vaccinati contro le principali malattie e là dove sono praticate in condizioni igieniche scadenti, le stesse vaccinazioni possono rappresentare un veicolo di infezione, perché viene più volte riutilizzato lo stesso ago, che può entrare in contatto con i virus presenti nel sangue di un bambino malato e trasmetterli ai bambini sani.

Un trentenne colpito da poliomielite in una strada di Karachi (Pakistan): la vaccinazione gli avrebbe permesso una vita migliore

Malattie infettive come la tubercolosi e la malaria (debellate nei paesi progrediti) affliggono ancora la popolazione dei paesi in via di sviluppo: gli organismi medici delle Nazioni Unite affermano che la mortalità per malaria potrebbe calare se soltanto le abitazioni fossero dotate di zanzariere, ma in molti Stati africani non sono disponibili nemmeno mezzi così semplici.
Molto alta è la mortalità legata all’Aids (2,4 milioni di vittime all’anno in Africa). Nigeria, Sudafrica e India sono i tre paesi nei quali la malattia ha provocato il maggior numero di morti; India, Kenya e Stati Uniti sono i tre paesi con il più alto numero di persone malate di Aids.
Nuove malattie e nuove pandemie minacciano periodicamente il mondo: come la SARS (sindrome acuta respiratoria grave), apparsa in Cina nel 2002 e identificata dal medico italiano Carlo Urbani; o come l’epidemia di virus Ebola che ha colpito nel 2014 l’Africa occidentale.

Murale informativo sul virus Ebola a Monrovia, capitale della Liberia

Se dal 1990 ad oggi la mortalità legata alla gravidanza e al parto è stata dimezzata nel mondo, essa è ancora diffusa in alcune regioni, in particolare quelle economicamente sottosviluppate: il tasso di mortalità materna che nei paesi industrializzati è mediamente di 12 decessi su 100.000 parti, sale a 500 nell’Africa a sud del Sahara. L’85% dei casi di morte per parto avvengono proprio nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale.

Tasso di mortalità materna nel mondo: esso è più alto dove il colore è più scuro

In questa situazione, in cui alla povertà si unisce anche la carenza sanitaria, vanno riconosciute e sostenute tutte quelle forme di volontariato medico che ci sono nel mondo: dall’italiana Emergency (fondata nel 1994 da Gino Strada e Teresa Sarti) a Medici Senza Frontiere (fondata a Parigi nel 1971 ed oggi diffusa internazionalmente), da Save the Children International a Bambini nel Deserto (fondata in Italia nel 2000) e a tante altre.

Medici di Emergency curano un bambino a Kabul (Afghanistan)

Negli ultimi decenni l’istruzione ha fatto molti passi in avanti nel mondo: il tasso mondiale di alfabetizzazione degli adulti è infatti passato dal 48% del 1970 al 72% del 2000 e all’82% nel 2015: in quasi tutti i paesi è aumentata la percentuale delle persone che frequentano le scuole e le università. Tuttavia gli analfabeti sono tuttora 775 milioni e vivono soprattutto in Africa e nell’Asia meridionale.
Anche nell’istruzione, quindi, si registrano grandi differenze tra i vari Stati. In quasi tutti i paesi industrializzati e anche in altri in via di sviluppo, infatti, il tasso di alfabetizzazione sfiora il 100%, mentre in alcuni dei paesi più poveri del mondo (in particolare nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale) l’analfabetismo interessa più del 50% della popolazione. Pur non avendo a disposizione dati sicuri e omogenei per anno di rilevamento, possiamo dire che l’analfabetismo è presente soprattutto in Afghanistan (72%), Burkina Faso e Niger (71), Mali (67), Ciad (65), Somalia (62), Etiopia (61), Guinea (59), Benin (58), Sierra Leone (57), Haiti (51). In uno stato ormai molto progredito come l’India gli analfabeti sono ancora il 37%.

Il tasso di alfabetizzazione nel mondo: esso è maggiore dove il colore è più scuro

Ci sono tuttavia paesi come Cuba, il Kazakistan, il Tagikistan, l’Azerbaigian, la Corea del Nord in cui il tasso di alfabetizzazione ha raggiunto il 100% della popolazione, ed altri (Mongolia, Brasile, Ecuador, Cina, Vietnam) in cui supera il 90% della popolazione. Questo grazie a scelte precise compiute dai governi: ad esempio a Cuba e nella Corea del Nord l’istruzione è pubblica e gratuita fino al livello universitario ed è obbligatoria fino alla secondaria.

Una scuola infantile a Pyongyang (Corea del Nord): il ritratto del dittatore coreano alla parete evidenzia, purtroppo, che più che istruzione qui si sta facendo indottrinamento

All’interno di alcuni Stati vi sono significative differenze nel livello di istruzione: in Marocco, ad esempio, il tasso di analfabetismo è del 75% in campagna, mentre scende al 37% in città.
Ma ancora più significativa è la differenza tra sessi: i due terzi degli analfabeti sono donne, particolarmente discriminate ed escluse dalle scuole negli Stati più arretrati. Qui soltanto il 50% delle bambine finisce la scuola primaria e circa 39 milioni di ragazze di età compresa tra gli 11 e i 15 anni devono lasciare gli studi perché costrette al matrimonio, alla procreazione e agli impegni domestici e lavorativi.

Donne del Malawi: quante di esse avranno ricevuto un’istruzione adeguata?

In molti paesi avanzati esiste inoltre il problema dell’analfabetismo di ritorno, ossia la perdita della capacità di leggere e scrivere, dovuta alla mancanza di esercizio di queste abilità: in particolare, negli USA e nel Regno Unito colpisce il 20% della popolazione adulta delle classi meno abbienti, contro una media nazionale dello 0,5%.
Le differenze nei livelli di istruzione sono in gran parte determinate dalla quantità di fondi che i diversi governi utilizzano per le istituzioni scolastiche. Se guardiamo i dati pubblicati dall’Unesco scopriamo, ad esempio, che nel 2014 il Sud Sudan ha speso per l’istruzione l’1,71% del proprio PIL, lo Sri Lanka l’1,93%, l’Uganda il 2,21%, il Pakistan il 2,46%, l’Afghanistan il 3,78%, l’Italia il 4,8%, gli Usa il 5,38%, la Finlandia il 7,17%, il Bhutan il 7,36%, lo Zimbabwe l’8,43%. Queste percentuali, in realtà, non dicono molto, poiché il PIL complessivo nei diversi paesi è molto diverso; è maggiormente significativo un dato più generico, che ci dice i paesi industrializzati spendono per l’istruzione in media più di 800 euro l’anno per abitante, contro i circa 40 euro dei paesi poveri.
L’impegno dei governi per l’istruzione fa sì che mentre in Norvegia ci sono 7 alunni per maestro nelle scuole elementari, in India ce ne sono 71 e nella Repubblica Centroafricana 99. In alcuni paesi dell’Africa le difficoltà economiche hanno portato, come per la salute, a una riduzione delle spese per l’istruzione e al crollo dei sistemi scolastici.

Una classe in Camerun

Un insegnante in una classe in India






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