Per millenni l’aumento di
popolazione fu limitato da diversi fattori: quando in una regione l’incremento
demografico superava l’aumento della produzione agricola, si verificava una
serie di carestie e tra la popolazione indebolita dalla malnutrizione, spesso
le epidemie facevano molte più vittime. Inoltre, quando le terre coltivabili
diventavano insufficienti, una popolazione poteva cercare di conquistare nuove
terre, muovendo guerra ad altri popoli, e i vinti venivano sottomessi o
sterminati. Carestie, epidemie e guerre limitavano la crescita demografica,
provocando un aumento della mortalità che compensava la natalità: è stato
calcolato che l’incremento naturale nei primi quindici secoli dopo Cristo si
sia mantenuto tra il 2 e il 5% per secolo, cioè tra lo 0,02 e lo 0,05% annuo.
Ancora verso il 1600 gli abitanti della terra superavano appena il mezzo
miliardo.
Negli ultimi cinque secoli la
situazione si è modificata: i progressi agricoli hanno permesso di produrre
molto di più e quindi di nutrire più persone; la conquista da parte degli
europei degli altri continenti ha dato loro la possibilità di mettere a coltura
nuove terre e di crescere di numero senza il rischio che si verificassero
carestie; grazie ai progressi della medicina ed ai miglioramenti nelle
condizioni igieniche sono state sconfitte molte malattie quali il vaiolo, la
peste, il colera che causavano molte vittime. Ha avuto così inizio, prima
soprattutto in Europa e nei continenti popolati dagli europei, ma poi anche
altrove, un rapido aumento della popolazione, che nel 1830 raggiunse il
miliardo, per poi passare a due miliardi nel 1930, tre nel 1960, quattro nel
1975, cinque nel 1987, sei nel 1999, sette nel 2011.
All’inizio dell’Ottocento
l’evoluzione della popolazione cominciò a differenziarsi. Nei paesi più ricchi,
dove il livello di vita era più alto, la mortalità diminuì nettamente nel corso
del secolo e, dopo un periodo di crescita demografica in cui la popolazione
aumentò in misura notevole, anche la natalità cominciò a diminuire.
Nel terzo millennio in molti
Stati la maggioranza delle famiglie tende ad avere un basso numero di figli, di
conseguenza l’incremento demografico è contenuto: è inferiore all’1% in paesi
come la Germania, la Slovenia, l’Austria, la Grecia, l’Italia, la Bosnia ed
Erzegovina, la Bulgaria, la Serbia, l’Ungheria, la Romania, la Lituania,
l’Ucraina, il Portogallo, la Croazia (in Europa) e il Giappone, Singapore, la Corea
del Sud, Taiwan (in Asia). Tra gli Stati extraeuropei è all’1% in Canada e a
Cuba, all’1,2% in Cina e Australia, all’1,3% negli Stati Uniti e Nuova Zelanda
(tutti i dati precedenti e seguenti sono forniti dalla Cia nel 2014).
Una tipica famiglia europea: padre, madre, un figlio
L’incremento demografico nei
paesi ricchi è contenuto anche per il numero in aumento dei singles e delle famiglie
mono-genitoriali (cioè formate da un solo genitore, che di solito ha unico un
figlio).
Va inoltre detto che in molti dei
paesi citati precedentemente il saldo naturale sarebbe spesso negativo, se non
fosse per l’alto numero di immigrati, che, a differenza degli indigeni, tendono
a procreare un maggior numero di figli.
La riduzione della natalità
modifica la composizione della popolazione. A causa infatti del ridotto
incremento naturale e della maggiore durata della vita media, in tutti gli
Stati ad alto reddito pro-capite vi è un equilibrio tra le diverse classi
d’età: ad esempio in Svizzera le persone con un’età compresa tra 0 e 17 anni
sono il 18%, quelle con oltre 65 anni sono ugualmente il 18%.
Negli ultimi anni in alcuni paesi
l’equilibrio si è rotto a favore della popolazione anziana; il caso più
macroscopico è quello del Giappone, dove nel 2014 la popolazione tra 0 e 14
anni costituiva il 12,8% del totale, mentre le persone con più di 65 anni erano
il 26%.
Nei paesi del Terzo Mondo la
situazione è profondamente diversa, soprattutto in quelli più poveri. Qui,
benché nettamente diminuita, la mortalità è ancora alta, superiore all’1% in
paesi come il Sudafrica, Lesotho, Ciad, Guinea Bissau, Afghanistan, Repubblica
Centrafricana, Somalia, Swaziland, Namibia, Botswana, Mali, Nigeria, Gabon,
Zambia, Niger, Mozambico e altri (dati della CIA del 2014). In questi paesi
malattie guaribili come il morbillo, la rosolia, la pertosse hanno ancora esiti
mortali; negli ultimi decenni, inoltre, si è diffuso massicciamente presso le
popolazioni africane l’Aids (Acquired Immune Deficiency Syndrome), una malattia
infettiva virale che si trasmette tramite i rapporti sessuali e anche dalla
madre al figlio che porta in grembo.
Manifesto sudafricano di prevenzione all’AIDS
Anche il tasso di natalità rimane
molto alto: supera il 4% in otto Stati africani (Niger, Mali, Uganda, Zambia,
Burkina Faso, Burundi, Malawi, Somalia) e il 3% in molti altri paesi africani e
in qualche stato asiatico (Afghanistan, Timor Est, Yemen). La natalità rimane
alta in molti paesi nonostante numerose campagne governative per il controllo
delle nascite, come è avvenuto in India, in Cina, nella Corea del Sud, in
alcuni paesi africani. Il controllo della natalità si scontra in molti Stati
con concezioni sociali e religiose molto profonde nella popolazione; inoltre
crea anche nuovi problemi. Ad esempio l’aumento della popolazione maschile,
dato che in alcune culture è l’uomo il continuatore della famiglia e le donne
sono considerate inferiori: ciò ha comportato che le interruzioni di gravidanza
abbiano colpito soprattutto feti di sesso femminile.
Una famiglia cinese: per ridurre il sovrappopolamento la Cina
introdusse la legge del figlio unico nel 1979; nel 2013 questa legge è stata
abolita ed ora una famiglia cinese può generare due figli senza incorrere in
sanzioni
Combinando il ridotto calo della
mortalità con la natalità che permane alta, l’incremento naturale nei paesi del
Terzo Mondo è ancora alto, spesso superiore al 2 o al 3% e la crescita della
popolazione è molto rapida: un incremento della popolazione del 3% significa
che in un secolo essa viene moltiplicata per 19 volte.
Questo fenomeno ha diverse cause.
In primo luogo l’alta mortalità infantile (cioè la percentuale di bambini che
muoiono nel primo anno di vita): essa supera il 10% (secondo dati del 2014) in
Afghanistan (Asia) e in Mali e Somalia (Africa), si aggira tra il 9 e il 7% in
Repubblica Centrafricana, Guinea Bissau, Ciad, Niger, Angola, Burkina Faso,
Nigeria, Sierra Leone, Congo, Mozambico, Guinea Equatoriale (tutti Stati
dell’Africa).
Una rifugiata somala con il figlio denutrito in un campo profughi in
Kenya
L’alta mortalità infantile spinge
molti genitori ad avere più figli, per avere maggiori probabilità che alcuni
sopravvivano fino all’età adulta: infatti i paesi a bassa mortalità infantile
sono anche quelli in cui la natalità è minore. L’avere molti figli è anche
l’unico mezzo con cui i genitori possono garantirsi un futuro, perché in molti
di questi paesi, in cui mancano i fondi per garantire un’assistenza adeguata
agli anziani, sono di solito i figli a provvedere ai genitori quando questi non
sono più in grado di lavorare. Inoltre spesso molte donne che vorrebbero
ridurre le nascite non sanno come evitare le gravidanze indesiderate: esiste un
legame tra l’istruzione femminile ed il tasso di fecondità (il numero medio di
figli che ogni donna genera), perché dove il livello di istruzione è più alto,
le donne sono in grado di ridurre il numero di gravidanze se lo desiderano.
Anche le credenze religiose possono essere importanti nel determinare le scelte
delle famiglie, così ad esempio molti cattolici e musulmani rifiutano la
limitazione delle nascite.
L’incremento demografico molto
rapido è causa di numerosi problemi: occorre creare nuovi posti di lavoro,
costruire abitazioni, scuole e servizi per una popolazione che cresce ad un
ritmo molto più veloce delle risorse, mentre il degrado ambientale si aggrava; quando
non c’è lavoro, aumenta la percentuale di popolazione che è costretta a emigrare,
come sta succedendo negli ultimi anni con le conseguenze descritte nella
lezione precedente. Per questi motivi molti governi hanno promosso campagne
demografiche per limitare le nascite, però tali campagne ottengono risultati
solo se vi è contemporaneamente un miglioramento del tenore di vita e
dell’istruzione.
Bambini in una scuola nigeriana: l’istruzione è fondamentale per
permettere a una popolazione di migliorare le proprie condizioni di vita, il
che avviene anche mediante una cosciente capacità riproduttiva
A causa del forte incremento demografico nei paesi più poveri il rapporto tra le diverse classi d’età è nettamente squilibrato a favore delle classi più giovani e la distribuzione della popolazione per età ha un andamento a piramide: in paesi come la Nigeria, la Costa d’Avorio, lo Yemen quasi metà della popolazione ha meno di 15 anni, mentre le persone con oltre 64 anni sono solo il 2-3%.
L’enorme differenza nei due grafici evidenzia la diversità della
composizione della popolazione per età nei due paesi considerati: il Niger e l’Italia
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