Approfondimenti

lunedì 31 luglio 2017

51 La popolazione mondiale: le città


Grandi città esistono, in Asia come in Europa e nell’Africa settentrionale, da migliaia di anni, ed esse hanno sempre svolto un’importante funzione religiosa, culturale, militare, economica (in quanto centri commerciali e artigianali) e soprattutto amministrativa (in quanto centri del potere politico). Negli altri continenti le città hanno invece un’origine più recente, perché vennero fondate dai coloni europei e dai loro discendenti negli ultimi cinque secoli: a partire dal XVI secolo in America, dove alcune città esistevano già prima dell’arrivo degli spagnoli; soprattutto nel XIX e nel XX secolo nell’Africa a sud del Sahara e in Oceania.

Veduta di Roma: come altre città europee, la capitale dell’Italia ha origine latina, ma nei secoli si è sviluppata nei numerosi quartieri medievali

Fès (Marocco) è, come molte città arabe, di origine medievale, e si è sviluppata accanto alla medina (la città fortificata) sorta attorno alla moschea; si caratterizza per le vie tortuose e strette, con tante abitazioni, botteghe e suk

Veduta di Bangkok (Tailandia): le città asiatiche dell’Oriente hanno origine antica e il centro urbano, spesso di epoca medievale, si è sviluppato intorno al palazzo del sovrano o al tempio principale (nella foto i tetti in primo piano sono quelli di un tempio buddista)

Il Palazzo de La Moneda a Santiago del Cile: la residenza del Presidente cileno venne costruita tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo secondo lo stile coloniale del Sudamerica

Fino all’Ottocento però anche nelle regioni in cui le città erano numerose ed avevano raggiunto grandi dimensioni, esse ospitavano solo una percentuale minima della popolazione, che era più numerosa in campagna.
La situazione si modificò con la nascita e lo sviluppo delle industrie, prima in Europa (XVIII-XIX secolo) e poi nell’America settentrionale (XIX secolo), in Giappone (XIX-XX secolo) e in Australia (XX secolo): le possibilità di lavoro presenti in città attirarono un gran numero di lavoratori e si ebbe un massiccio spostamento della popolazione dalle zone rurali a quelle urbane. Come conseguenza, queste città sono divenute enormi e capaci di svolgere funzioni complesse: quella politica se si tratta di una capitale, quella finanziaria con le Borse e gli uffici delle multinazionali, quella universitaria, quella turistica se la città conserva monumenti storici e musei, quella del divertimento con i centri di produzione televisiva e cinematografica, i teatri più prestigiosi e le discoteche alla moda, e così via.

Il Campidoglio di Washington, sede del Congresso (= parlamento) statunitense; è, con la Casa Bianca, il simbolo del potere politico degli Usa

L’Opera House di Sidney (Australia): nelle grandi metropoli occidentali si trovano sale da concerto, teatri, discoteche, biblioteche, musei tra i migliori del mondo

Anche nelle altre regioni della Terra si è avuta una rapida crescita urbana negli ultimi due secoli, e in particolare nel Novecento: attualmente sono soprattutto le città asiatiche e africane che registrano un forte incremento demografico, mentre i ritmi di crescita sono rallentati in Europa, America del Nord e Oceania. Così, se nel 1900 le 10 città più popolose erano Londra, New York, Parigi, Berlino, Chicago, Vienna, Tokyo, San Pietroburgo, Manchester e Filadelfia (ossia 6 città europee, 3 degli Stati Uniti e una asiatica), oggi la situazione è molto cambiata.
Nel 2015 infatti le 10 città più popolose erano le seguenti:

1 Tokyo (Asia)
35,5 milioni di abitanti
2 Shanghai (Asia)
23,8 milioni
3 Città del Messico (America)
21 milioni
4 New York (America)
19,5 milioni
5 San Paolo (America)
19 milioni
6 Mumbai (Asia)
18,4 milioni
7 Giacarta (Asia)
16,8 milioni
8 Delhi (Asia)
16,3 milioni
9 Pechino (Asia)
16 milioni
10 Dacca (Asia)
15,2 milioni

Attenzione, però: la classifica precedente va letta con prudenza. Essa infatti tiene conto non del numero degli abitanti delle singole città, bensì dell’agglomerato urbano all’interno del quale sorgono le singole città. La crescita urbana, infatti, ha portato alla nascita di due tipi di città, che sono le metropoli e le megalopoli.
Una metropoli (dal greco metrópolis = città madre) è una città con oltre un milione di abitanti; attorno ad essa sono sorti o si sono ingranditi numerosi centri minori, al punto che si è formato un unico e ampio agglomerato dal paesaggio edilizio abbastanza uniforme, al punto che non è più distinguibile dove finisce la metropoli e dove cominciano i centri circostanti. Questi si trovano sempre lungo le maggiori vie di comunicazione che si irradiano dalla metropoli e la loro crescita ha causato il fenomeno della “città diffusa”: un paesaggio urbano al cui interno si trovano enormi periferie meno edificate, abitate da pendolari che quotidianamente si recano a lavorare presso i centri maggiori, utilizzando i servizi di trasporto pubblico o i mezzi privati.

Veduta aerea di Los Angeles (Usa): nelle metropoli non esiste più una netta divisione tra la città vera e propria e i centri minori e tutto si confonde in uno spazio edificato vastissimo

Una megalopoli (dal greco megas = grande e polis = città) è un’estesa regione abitata da almeno 20 milioni di persone, formata da una serie di metropoli che, ingrandendosi, hanno finito con l’avvicinarsi fisicamente o con il collegarsi dal punto di vista economico e culturale. Collegate da rapide vie di comunicazione, le diverse zone di una megalopoli svolgono spesso funzioni diversificate, ma tra loro fortemente integrate. All’interno di una megalopoli si riscontra il paesaggio della “città diffusa”, comprensivo di aree verdi, zone agricole, piccole cittadine, aree industriali, regioni turistiche. Alcune megalopoli possono anche superare i confini nazionali e unire città di Stati diversi (come ad esempio la megalopoli renana, che comprende Colonia, Francoforte, Bruxelles, Amsterdam e Zurigo, ossia città della Germania, Belgio, Paesi Bassi e Svizzera).

Veduta di Duisburg: la città tedesca fa parte della regione metropolitana Reno-Ruhr

Oggi nel mondo (esclusa l’Europa) le principali megalopoli sono 7:
- quella giapponese (detta Tokaido, che significa «strada del mare orientale») che va da Tokyo a Fukuoka e comprende anche Osaka, Kobe, Kyoto, Nagoya, per un totale di circa 70 milioni di abitanti;
- quella formatasi nella fascia atlantica degli Stati Uniti (e detta Boswash), comprendente le città di Boston, New York, Philadelphia, Baltimora e Washington, per un totale di circa 50 milioni di abitanti;
- quella cinese del Guangdong, che comprende numerose città cinesi (tra cui Canton e Macao) ed arriva sino ad inglobare Hong Kong, per un totale di circa 50 milioni di abitanti;
- quella dei Grandi Laghi (detta Chipitts), che comprende Chicago, Indianapolis, Cincinnati, Detroit, Toronto, Cleveland e Pittsburg ed è abitata da circa 25 milioni di persone;
- quella brasiliana che va da San Paolo a Rio de Janeiro a Belo Horizonte, con circa 25 milioni di abitanti;
- quella californiana (detta Sun City), che va da San Francisco a San Diego e ingloba anche Los Angeles, con circa 20 milioni di abitanti;
- quella indonesiana nella parte occidentale dell’isola di Giava, attorno a Giacarta.

Veduta di Canton, città della megalopoli del Guangdong

Veduta di San Francisco, città della megalopoli californiana

La crescita urbana in Africa a sud del Sahara è attualmente in forte aumento, sebbene non sia accompagnata da un adeguato sviluppo socioeconomico; succede così che alcune città africane, le capitali di uno Stato, si ingrandiscono enormemente, ma rimangono attorniate da vaste regioni rurali spesso prive di contatti con la grande città. I governi di molti paesi hanno concentrato la quasi totalità degli investimenti statali ed esteri per la crescita della capitale, costruendo industrie, centri commerciali, vie di comunicazione (strade, aeroporti), servizi pubblici (uffici governativi, ospedali, scuole), mentre il resto del territorio non ha avuto alcun aiuto economico ed è rimasto ai margini dello sviluppo. La capitale attira gli abitanti delle campagne, ma assume un aspetto assai particolare: se gli immigrati interni finiscono nei quartieri periferici, spesso degradati, la città si abbellisce con moderni quartieri degli affari (con grattacieli e strade eleganti) e quartieri residenziali simili a quelli di una città europea, ma abitati esclusivamente dagli strati sociali medi e alti della popolazione (dirigenti governativi, imprenditori, impiegati statali, tecnici, professionisti).
Una situazione abbastanza simile si registra in alcune zone dell’America del Sud.

Il Cairo (Egitto): vecchio e nuovo si mescolano variamente

Nel XX secolo si è registrato un altro fenomeno interessante che riguarda le città: quello della costruzione di nuove capitali (al posto di capitali più antiche), che spesso sono le realizzazioni più spettacolari dell’architettura urbana contemporanea. Gli esempi più noti sono quelli di Canberra in Australia (scelta come luogo in cui costruire la nuova capitale australiana nel 1908), Nuova Delhi in India (progettata all’inizio del XX secolo e scelta come capitale nel 1911), Brasilia in Brasile (edificata tra il 1956 e il 1960), Islamabad in Pakistan (costruita negli anni Sessanta del XX secolo), e Abuja in Nigeria (scelta come capitale nel 1976 e ufficialmente decretata tale nel 1991).

Brasilia, la capitale del Brasile dal 1960

Abuja, capitale della Nigeria dal 1991

La crescita urbana nel mondo pone comunque numerosi problemi, alcuni comuni alle diverse città, altri diversificati a seconda delle condizioni economiche dei paesi in cui essa avviene.
Comune a tutte le grandi città è il fenomeno dell’inquinamento, altissimo in India (Nuova Delhi risultava nel 2013 la città più inquinata del pianeta), in Bangladesh (Dacca), in Pakistan (Karachi), in Cina (Pechino) e in alcune città della Russia (Noril’sk, Cerepovec); anche alcune città africane risultano molto inquinate, come Accra (capitale del Ghana) e Lagos (in Nigeria). In generale, molte metropoli devono fare i conti con una serie di problemi ambientali, quali la carenza di spazi verdi, la difficoltà di smaltire masse crescenti di rifiuti, il traffico automobilistico caotico.

Una strada a Calcutta (India): smog e rifiuti abbandonati per strada degradano la vita in molte città del mondo

Anche il sovraffollamento riguarda molte città del mondo: lo si può vedere dalla lista seguente, con l’avvertenza però che i dati trovati in rete non sono attendibili al 100% né uniformi (alcuni riguardano l’area metropolitana, altri l’area urbana complessiva – nel complesso, comunque, possono dare un’idea del fenomeno):
Luanda (Angola) ha 45.700 abitanti per kmq
Dacca (Bangladesh) 41.600
Manila (Filippine) 41.500
Mumbai (India) 28.500
New York (Usa) 26.400
Onitsha (Nigeria) 25.000
Calcutta (India) 24.200
Il Cairo (Egitto) 22.000
Parigi (Francia) 21.400
Bangalore (India) 17.600
Seul (Corea del Sud) 16.700
San Francisco (Usa) 16.600
Lagos (Nigeria) 16.300
Giacarta (Indonesia) 15.000
Buenos Aires (Argentina) 14.300
Tokyo (Giappone) 14.000
Dakar (Senegal) 12.400
Accra (Ghana) 12.300
Teheran (Iran) 12.200
Osaka (Giappone) 12.100
Boston (Usa) 12.100
Chicago (Usa) 12.000
Filadelfia (Usa) 11.200
Delhi (India) 11.000
Taipei (Taiwan) 9.600
Santiago (Cile) 9.600
Kampala (Uganda) 9.400
Yaoundé (Camerun) 9.300
Shanghai (Cina) 8.200
Singapore 7.600
San Paolo (Brasile) 7.300
Belo Horizonte (Brasile) 7.100

Veduta aerea di Accra, capitale del Ghana

Negli Stati sviluppati i terreni edificabili hanno costi molto alti, perciò i costruttori tendono ad edificare palazzi a molti piani: sono i grattacieli che danno al cuore di molte metropoli statunitensi o asiatiche un aspetto uniforme. Nei quartieri periferici, in cui gli affitti sono meno costosi, ma le condizioni di vita peggiori, si concentrano le famiglie con reddito basso: questi quartieri vengono spesso indicati con la parola inglese slum o con quella italiana ghetto, che è il termine usato in passato in Europa per indicare i quartieri chiusi riservati agli ebrei. In questi quartieri tutti i servizi sono scadenti: dalle scuole pubbliche, dove vi è un altissimo numero di ragazzi cresciuti in condizioni difficili e spesso già coinvolti in attività criminali, agli spazi verdi, spesso assenti o degradati. Vi è un’ampia circolazione di droga e la violenza diviene spesso l’unico modo per affermarsi: si formano così bande giovanili, tra cui la criminalità organizzata recluta spacciatori, e l’uso delle armi è molto frequente. L’altissimo numero di omicidi tipico delle grandi città americane ha origine proprio dalle drammatiche condizioni di vita dei ghetti urbani.

Oltre ai quartieri degradati, le opulente città del Primo Mondo conoscono abbondantemente il problema degli homeless, gente che vive chiedendo l’elemosina nelle strade (nella foto siamo a Chicago, Usa)

Nei paesi del Terzo Mondo la mancanza di interventi da parte dei governi e la rapidità della crescita urbana aggravano i problemi generici delle città. In questi Stati l’incremento demografico non può essere assorbito dalle campagne, in cui quasi sempre le terre disponibili sono già sfruttate al limite delle loro potenzialità, e talvolta anche oltre; perciò la mancanza di lavoro e le calamità che si abbattono periodicamente sulle campagne, quali le siccità, le alluvioni, il passaggio delle cavallette e a volte le guerre, provocano un esodo continuo verso le città, dove le possibilità di sopravvivere appaiono maggiori. Trattandosi di paesi poveri, lo Stato non sempre ha i mezzi per intervenire, né per impedire un’immigrazione massiccia, né per fornire i nuovi quartieri almeno dei servizi di primaria necessità.

Questa discarica a Manila (Filippine) è la più grande del mondo: circa 30.000 persone vi vivono e vi cercano cibo e oggetti tra i rifiuti

Questi quartieri sorti spontaneamente, senza autorizzazione e senza progetto, vengono chiamati bidonville (città di bidoni) nelle città africane un tempo colonizzate dai francesi, oppure shanty town nelle ex-colonie inglesi, o ancora favelas in America Latina: qui le abitazioni sono baracche costruite con materiali di recupero, quali pezzi di lamiera, assi di legno, teli di plastica, barili vuoti, materiale preso nelle discariche; il rifornimento di acqua potabile e le fognature sono insufficienti, o mancano del tutto e molto spesso si utilizzano delle fosse come latrine comuni; per risparmiare il “materiale” da costruzione spesso una baracca viene costruita addossata a un’altra, per guadagnarvi una parete, il che provoca la vicinanza e la completa mancanza di privacy tra una famiglia e l’altra. In queste condizioni vi è sempre il rischio di epidemie e la mortalità, sia adulta, sia soprattutto infantile, è alta. Gli abitanti delle bidonville non hanno di solito un lavoro regolare e tutti, compresi i bambini, cercano di sopravvivere con attività di diverso genere, spesso non legali: ad esempio si formano bande che costringono con la forza o con l’inganno le famiglie più deboli a pagare un affitto per l’utilizzo delle baracche. Anche qui, come nei ghetti urbani del nord del mondo, sono molto diffusi gli episodi di violenza.

Le baracche della favela di Rio de Janeiro (Brasile)




50 La popolazione mondiale: la distribuzione della popolazione


La popolazione umana non è distribuita in modo uniforme sulla superficie della terra: vi sono aree a bassissima densità di popolazione, se non completamente spopolate, quali l’Antartide, ed altre in cui vi è una fortissima concentrazione di abitanti, in particolare nell’Europa centro-occidentale e nell’Asia orientale.


Nonostante i progressi tecnici che rendono possibile la vita umana anche in condizioni ambientali sfavorevoli, i popoli continuano a preferire le regioni più favorevoli, che corrispondono alle aree storiche di insediamento. Perciò le regioni più densamente popolate sono quelle dove il clima è temperato o caldo, o dove le precipitazioni, i fiumi e i laghi forniscono una quantità d’acqua sufficiente per gli usi agricoli, industriale e domestici, o dove il suolo è abbastanza fertile da permettere la coltivazione e il pascolo, o lungo le fasce costiere che hanno permesso di sviluppare il commercio e la pesca (non a caso il 75% della popolazione mondiale vive a meno di 500 chilometri dal mare), o ancora dove non vi sono ostacoli alle comunicazioni.

Folla in una città del Vietnam. Tutto il sud-est asiatico è densamente popolato, proprio per i fattori elencati più sopra

L’insieme di questi fattori spiega alcune caratteristiche dell’attuale distribuzione della popolazione: ad esempio nelle zone temperate la densità è maggiore in pianura, dove il terreno è più fertile e il clima meno rigido (il 60% della popolazione vive entro i 200 metri di altitudine sul livello del mare), mentre nelle zone equatoriali troviamo spesso una densità maggiore in montagna, anche fino a 3.000 metri, perché in pianura il clima è eccessivamente caldo, i suoli, ricoperti dalla foresta equatoriale, sono poco fertili e a quote più alte non vivono molti agenti portatori di malattie, come per esempio la zanzara causa della malaria.

La città di Iringa, in Tanzania, sorge a più di 1.500 metri s.l.m.

Dove invece le condizioni sono meno favorevoli, la densità è molto bassa, ma nessuna area abitabile è del tutto priva di insediamenti: persino in regioni molto inospitali, quali le coste dell’Artico o il deserto del Sahara, vivono alcune popolazioni.
Anche le vicende storiche e lo sviluppo economico hanno modificato la distribuzione della popolazione, portando spesso a concentrazioni demografiche in alcune regioni, in particolare in quelle più ricche, che sono sempre state meta di immigrazione.

Veduta notturna della valle del Nilo e della Mesopotamia dalla Stazione Spaziale Internazionale (2016). Le due regioni sono alla base della civiltà umana, proprio perché qui si sono formati primi insediamenti umani stabili

Gli insediamenti umani sulla Terra sono molto diversi a seconda delle caratteristiche delle regioni in cui si sono sviluppati e delle vicende storiche. Possiamo distinguere tre forme di popolamento: nomade, rurale e urbano.
Le popolazioni che vivono in regioni in cui le risorse naturali sono scarse, quali i deserti, le steppe aride e la tundra, ma anche la foresta equatoriale, sono per lo più nomadi (o seminomadi) e quindi si spostano nel corso dell’anno o dopo un certo numero di anni di permanenza in un territorio. Le popolazioni di cacciatori e di pastori, quali i mongoli della tundra asiatica, i lapponi della tundra europea o gli esquimesi della tundra nord-americana, hanno sedi invernali e sedi estive, poste vicino ai pascoli delle loro mandrie o nelle aree frequentate dagli animali selvatici. Essi si trasferiscono dalle sedi invernali a quelle estive e a volte vi sono sedi provvisorie, abitate nelle stagioni intermedie. Queste popolazioni possono vivere, soprattutto nel periodo invernale, in villaggi stabili con abitazioni in legno o in muratura, ma molte hanno abitazioni che possono essere smontate e trasportate, come le tende degli indiani d’America e dei tuareg, che vivono nel deserto africano, o come la yurta, una grande tenda cilindrica con copertura a calotta, dei mongoli asiatici.

Una yurta mongola

Anche le popolazioni della foresta equatoriale sono nomadi: alcune, come gli yanomami dell’Amazzonia, vivono per un certo numero di anni in un villaggio, coltivando le terre vicine, poi, quando queste si sono esaurite, si trasferiscono alla ricerca di nuove terre. Ogni tribù però rimane sempre all’interno di un territorio ben definito. Altre popolazioni della foresta, che vivono di caccia e di raccolta, come i pigmei, si spostano con maggiore frequenza e costruiscono capanne molto semplici.

Pigmei Twa davanti alla loro semplicissima abitazione (Uganda)

Le popolazioni nomadi costituiscono una percentuale ridottissima della popolazione terrestre, assai meno dell’1%. Esse però vivono su aree abbastanza vaste, perché in un’area ristretta le risorse fornite dal territorio sarebbero insufficienti. Le loro terre, soprattutto nelle regioni ricoperte dalla foresta equatoriale, vengono spesso occupate da altre popolazioni alla ricerca di terreni per il pascolo o l’agricoltura, di minerali e di legname: così nella Nuova Guinea Occidentale le popolazioni locali vengono scacciate dalle loro terre, assegnate dal governo indonesiano a gruppi di immigrati provenienti da Giava.

Persone appartenenti a etnie marginali sulla Terra: da sinistra nella Nuova Guinea Occidentale, in Brasile e in Namibia. Queste popolazioni esercitano un grande fascino su noi occidentali, ma dimentichiamo facilmente che esse costituiscono una percentuale ridottissima dell’umanità

Le popolazioni che si dedicano principalmente all’agricoltura vivono soprattutto in villaggi di dimensioni più o meno grandi, o in case isolate sparse per la campagna. L’aspetto di questi villaggi cambia da regione a regione, in base ai materiali utilizzati, alla disposizione delle abitazioni, alle tecniche di costruzione, ai tipi di decorazioni, alla presenza di edifici di uso collettivo, quali il tempio o la sala delle riunioni: esiste un’estrema varietà di insediamenti rurali sulla superficie del nostro pianeta. Le foto seguenti te ne danno qualche parziale esempio.

Case sparse nella campagna irlandese

Casa rurale in Finlandia

Casa rurale in Russia

Casa rurale in Svizzera

Casa rurale in Grecia

Casa rurale negli Stati Uniti

Casa rurale a Cuba

Casa rurale in Colombia

Casa rurale in Brasile

Casa rurale in Marocco

Casa rurale in Nigeria

Casa rurale in Etiopia

Casa rurale in Sudafrica

Casa rurale in Cina

Casa rurale in Uzbekistan

Casa rurale in Nepal

Casa rurale in India

Casa rurale in Myanmar

Casa rurale in Australia

Casa rurale in Nuova Zelanda

Un’Airai Bai (ossia una tradizionale casa di ritrovo per gli uomini) nell'arcipelago delle Palau

Oggi vive in campagna meno del 50% della popolazione: nel 2006 infatti, per la prima volta nella storia, la popolazione delle città ha superato quella rurale. L’aumento della popolazione urbana è dovuto soprattutto alla forte crescita demografica negli ultimi decenni e al fatto che molti contadini migrano in massa dalle campagne alle città, dove sono migliori le possibilità lavorative e le condizioni di vita. In molte regioni dell’Africa, dell’America meridionale e dell’Asia la pratica dell’agricoltura non garantisce condizioni di vita adeguate, inoltre le grandi imprese straniere (europee o nord-americane) occupano le terre migliori e le coltivano con mezzi moderni, che richiedono una scarsa manodopera, oppure evitano la coltivazione dei campi, preferendo utilizzare le risorse del sottosuolo.
Sebbene l’aumento della popolazione urbana riguardi tutto il pianeta, vi sono ancora forti differenze tra Stati e regioni: ad esempio la popolazione rurale (secondo i dati della CIA del 2015) è del tutto assente in alcuni piccoli Stati formati da zone unicamente cittadine (come Città del Vaticano, Singapore, Hong Kong, Macao); è a livelli inferiori al 10% in Qatar (0,8%), Belgio (2,1), Uruguay (4,7), Giappone (6,5), Israele (7,9), Argentina (8,2); è tra il 10 e il 20% in Cile (10,5), Australia (10,6), Venezuela (11), Libano (12,2), Nuova Zelanda (13,7), Brasile (14,3), Arabia Saudita (16,9), Corea del Sud (17,5), Canada (18,2), gli Stati Uniti (18,4). In Russia è del 26%, in Italia del 31%, in Cina del 44,4%, in India del 67,3%, in Afghanistan del 73,3%, in Cambogia del 79,3%, in Etiopia dell’80,5%, in Papua Nuova Guinea dell’87%.

Cartina con la popolazione rurale nel 2015 sulla Terra