Approfondimenti

domenica 21 settembre 2014

25 Il settore secondario e il paesaggio industriale


 IL SETTORE SECONDARIO E IL PAESAGGIO INDUSTRIALE

Il settore secondario comprende due diverse attività – l’artigianato e l’industria – praticate dall’uomo da tempi molto differenti: infatti l’artigianato è nato 5.000 anni fa o anche prima, se consideriamo artigiani quegli uomini preistorici che lavoravano la pietra o l’osso per ricavarne oggetti per la caccia o per la vita quotidiana, per non parlare dei primi metalli che si imparò a forgiare; mentre l’industria è nata solo 250 anni fa, un tempo relativamente breve ma nel quale il modo di vivere dell’umanità è profondamente cambiato.

Cottura della ceramica durante il Neolitico

Lavoro in una fabbrica inglese del XVIII secolo

L'ARTIGIANATO

Tralasciando le attività artigianali dell’Età Antica, è l’artigianato del Basso Medioevo il più simile a quello attuale.
La ripresa dell’economia che si manifestò in Europa a partire dall’anno Mille riempì le città di botteghe artigiane, che caratterizzarono i centri urbani grandi e piccoli fino al 1800 circa e che, sia pure in forme diverse, possiamo trovare ancora oggi.
Una bottega artigiana medievale occupava generalmente il piano terreno di una casa: mentre nei piani superiori viveva l’artigiano con la sua famiglia e, spesso, con gli apprendisti che lo aiutavano nel lavoro, al piano terra una o due stanze venivano usate proprio per l’attività artigianale. Una finestra dava sulla strada, non solo per dare luce alla bottega, ma anche per permettere all’artigiano di esporre i suoi prodotti, in modo che chi passava potesse vederli e, se gli piacevano o gli servivano, comprarli: spesso, infatti, la bottega era anche un luogo di vendita al dettaglio.
Artigiani medievali erano i fabbri che costruivano coltelli e forbici, i calzolai che fabbricavano scarpe e stivali, i sarti che facevano i vestiti su misura per il cliente, i falegnami che producevano sedie e mobili di ogni tipo, i vasai che fabbricavano vasi e bicchieri, i sellai che preparavano le selle per i cavalli, e così via.

Disegno ricostruttivo di una bottega con il piano terra e il primo piano adibito ad abitazione

Disegno ricostruttivo dell’interno della bottega di un vasaio medievale

Oggi una bottega di questo tipo esiste solo occasionalmente: nelle città e nei paesi europei possiamo trovare ancora il calzolaio che ripara le scarpe, l’arrotino che affila forbici e coltelli, il gioielliere che ripara orologi o che costruisce da sé gioielli di vari tipi, o il barbiere-parrucchiere che taglia i capelli. Di solito però la bottega si è trasformata in laboratorio artigianale, dove si producono oggetti su misura o in piccola serie, oppure dove si fanno riparazioni.
Possiamo così avere il laboratorio del falegname, che produce arredamenti per singoli clienti o per negozi; del fabbro che lavorando il ferro produce cancelli e recinzioni su misura; del pellettiere che produce borse, cinture, portamonete; del marmista che appronta lastre di marmo per pavimenti domestici o per i cimiteri; del vetraio che fabbrica soprammobili in vetro o specchi; del meccanico che ripara biciclette, moto e automobili; del costruttore edile che fornisce quanto è necessario alla costruzione di una casa, eccetera.
In Italia (ma non solo) oggi vengono considerati artigiani anche lavoratori di altro tipo: ad esempio i panificatori, i gelatai, i pasticceri, i taxisti, gli estetisti e coloro che eseguono tatuaggi e piercing, i sarti, i piastrellisti, i tipografi, i giardinieri, i pittori edili, i fotografi, i pubblicitari, o chi produce formaggi, cappelli, abbigliamento sportivo, saponi e detergenti, vernici, giocattoli, calzature in gomma. L’elenco degli artigiani, in realtà, è molto lungo.


Due esempi di laboratori artigianali a Venezia: in alto, un laboratorio per la produzione di maschere in cartapesta e, sotto, per la fabbricazione di oggetti in vetro a Murano

Questi laboratori si trovano generalmente in zone cosiddette industriali (vedi il paragrafo IL PAESAGGIO INDUSTRIALE più avanti) e sono realizzati dentro capannoni, all’interno dei quali ci sono i magazzini per le materie prime, le macchine usate per la lavorazione, il deposito del prodotto finito. Nei laboratori lavorano fino a 15 operai (tra cui quasi sempre il titolare dell’azienda e alcuni familiari): se i lavoratori sono più di 15, l’attività non è più considerata artigianale, bensì industriale.

Un capannone prefabbricato

L’INDUSTRIA

L’industria è nata in Inghilterra nel Settecento: la presenza di miniere di carbone, l’invenzione della macchina a vapore e di macchinari in metallo capaci di fare un lavoro prima fatto a mano dall’uomo, lo spirito d’iniziativa dei borghesi arricchiti si combinarono nel dar vita a quella che viene chiamata prima rivoluzione industriale e che riguardò inizialmente soprattutto il settore tessile.
Nell’Ottocento nuove invenzioni nei settori chimico e metallurgico e la scoperta dell’energia idroelettrica provocarono la nascita della seconda rivoluzione industriale, che si diffuse progressivamente in alcuni Paesi europei (e anche negli Stati Uniti d’America) e che portò al formarsi di grandi complessi industriali, così potenti da creare dei monopoli e quindi di controllare l’intero mercato.

Interno di una fabbrica della prima rivoluzione industriale

Nella seconda metà del Novecento l’applicazione dell’elettronica alle lavorazioni industriali e la diffusione delle tecnologie che chiamiamo comunemente informatiche (dai primi calcolatori industriali ai moderni personal computer di vario tipo) hanno portato alla terza rivoluzione industriale, che è ancora in corso e che si sta sviluppando in nuove direzioni, quali la robotica e l’impiego dei droni.
Le nuove tecnologie hanno provocato una sempre maggiore automazione del lavoro, ossia all’uomo si sostituiscono sempre più le macchine, in tutte le fasi della produzione, dall’ideazione al controllo del prodotto finito.
L’automazione richiede grandi investimenti iniziali e una grande quantità di energia, perché le macchine sono molto costose e sono in funzione giorno e notte. L’automazione, però, presenta diversi vantaggi. Innanzitutto garantisce che il lavoro sia svolto in modo continuativo e sempre uguale: mentre l’operaio che esegue un lavoro può, per stanchezza, noia, distrazione, commettere errori, la macchina esegue ogni operazione senza variare e senza interrompersi. Inoltre l’automazione permette di risparmiare i costi della manodopera, perché la macchina, pur richiedendo una continua manutenzione e pur consumando energia, non riceve un salario, non si ammala, non ha diritto alle ferie e non sciopera.
L’automazione ha fatto calare il numero di operai impiegati nelle industrie, in particolare di quelli non qualificati, cioè senza una preparazione professionale specifica; è aumentata, invece, la richiesta di manodopera specializzata, per cui oggi è necessario per entrare nel mondo industriale una maggiore professionalità e ciò obbliga il giovane a impegnarsi nello studio, meglio se in una scuola con insegnanti e programmi all’altezza dei compiti della società moderna.

Una fabbrica di robot in Germania: non può che essere automatizzata!

La competitività – che è una caratteristica del mondo attuale – ha bisogno inoltre di sempre nuove mansioni, capaci di imporsi e di produrre oggetti che siano “vincenti”. Per questo gli investimenti nella ricerca e nel rinnovamento tecnologico sono fondamentali: il rischio per chi non investe in questi settori è quello di produrre oggetti superati, o inferiori per qualità, o a costi più elevati, con conseguente fallimento. Quando un’industria fallisce ed è costretta a chiudere, può essere acquistata da un’industria in espansione, la quale trasforma gli impianti e li utilizza per aumentare la propria produzione.
Anche se oggi in tutta Europa sono presenti molte industrie, non possiamo definire il nostro continente tutto industrializzato allo stesso modo. La presenza delle industrie dipende da diversi fattori:
- la disponibilità di fonti di energia e di materie prime
- la possibilità di commercio
- le vicende storiche, che hanno creato regioni più ricche di altre o che, come nel caso dei Paesi a regime comunista, hanno posto lo Stato (e non la proprietà privata) a controllare in maniera rigida la produzione industriale.

Per questo in Europa si possono distinguere due regioni:
- le regioni molto industrializzate, in cui il livello tecnologico è alto (sostanzialmente l’Europa centro-occidentale: Francia, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio, Italia settentrionale)
- le regioni con minore produzione industriale e di più basso livello tecnologico (l’Europa meridionale e l’Europa centro-orientale).

Questa distinzione va ulteriormente spiegata: esiste un fenomeno – chiamato deindustrializzazione – che riguarda in particolare proprio l’Europa occidentale, ossia quella più industrializzata, e che consiste in un aumento della produzione e in una diminuzione degli occupati. Ciò si spiega non solo con lo sviluppo dell’automazione, di cui si è parlato prima, ma anche con altri motivi: per esempio con la delocalizzazione, ossia il trasferimento di impianti industriali dell’Europa occidentale nei Paesi dell’Est europeo o addirittura in nazioni extraeuropee. Poiché in questi Paesi la manodopera costa di meno, le materie prime sono a più buon mercato, la forza-lavoro è più qualificata e le tasse sono meno elevate, molti industriali hanno preferito trasferire in Polonia, nella Repubblica Ceca, in Slovacchia, in Ungheria o in Romania i loro stabilimenti; si tratta di scelte conseguenti anche alle leggi (o alla mancanza di leggi) industriali dei politici occidentali, non sempre pronti o capaci di difendere il lavoro nel proprio Paese.

Fabbrica dell'italiana FIAT in Polonia

È interessante, a tal proposito, osservare i dati della seguente tabella:

PAESE
ADDETTI AL SETTORE SECONDARIO
Belgio
20%
Bulgaria
33%
Francia
23%
Germania
26%
Grecia
22%
Italia
30%
Lituania
29%
Moldavia
21%
Paesi Bassi
17%
Polonia
27%
Regno Unito
17%
Repubblica Ceca
40%
Romania
31%
Russia
29%
Slovacchia
39%
Slovenia
38%
Ungheria
32%

Le industrie sono di tipo molto diverso; le distinzioni che possiamo fare riguardano:
- la produzione
- le dimensioni
- i materiali usati
- le tecniche di produzione.

Per quanto riguarda la produzione delle singole industrie si possono catalogare alcuni tipi principali:

SETTORE INDUSTRIALE
COSA PRODUCE
Industria metallurgica
Metalli di vario tipo (di base e preziosi)
Industria siderurgica
Ferro e leghe con alto contenuto di ferro, tra cui l’acciaio e la ghisa
Industria metalmeccanica
Macchine di vario uso (macchine agricole, macchinari per le industrie, macchine tessili, ecc.)
Industria automobilistica
Veicoli a motore
Industria ferroviaria
Treni e locomotive
Industria navale
Imbarcazioni, navi, transatlantici, yacht
Industria aerea
Aerei e velivoli di vario tipo
Industria elettromeccanica
Macchine elettriche ed elettrodomestici
Industria calzaturiera
Scarpe e calzature di ogni tipo
Industria tessile
Fibre tessili vegetali, animali o artificiali
Industria dell’abbigliamento
Capi d’abbigliamento di qualsiasi tipo
Industria alimentare
Qualsiasi prodotto commestibile trasformato ricavato da agricoltura, zootecnia e pesca
Industria ittica
È il settore dell’industria alimentare che trasforma i prodotti della pesca
Industria del legno e della carta
Prodotti ricavati dalla silvicoltura (legname, mobili, parquet per pavimenti, carta, fiammiferi, ecc.)
Industria editoriale
Giornali, riviste, libri, ecc.
Industria cosmetica
Prodotti per la bellezza e l’estetica, l’erboristeria, la profumeria, l’acconciatura, ecc.
Industria chimica
Composti chimici come il benzene e il propilene, o plastica, coloranti, colle, vernici, inchiostri, dolcificanti, adesivi, saponi, detersivi, esplosivi, fertilizzanti e molto altro
Industria farmaceutica
È il sotto-settore dell’industria chimica che produce vari tipi di farmaci
Industria petrolchimica
È il sotto-settore dell’industria chimica che ottiene prodotti dalla lavorazione del petrolio o dei gas naturali: in particolare le materie plastiche (e gli oggetti in plastica), la gomma sintetica, le fibre tessili sintetiche e i fertilizzanti azotati
Industria petrolifera
Benzina, gasolio, cherosene, nafta, butano, propano, olio per motori, bitume, asfalto
Industria della meccanica di precisione
Orologi, cronografi, macchine fotografiche, apparecchiature mediche, ecc.
Industria delle telecomunicazioni
Telefono, radio, televisione
Industria informatica
Computer, cellulari, tablet, ecc.
Industria aerospaziale
Veicoli aerei che operano nell’atmosfera e nello spazio extra-atmosferico
Industria bellica
Armi di tutti i tipi

Un’industria metallurgica
 
Industria chimica
 
Industria petrolifera alle Canarie (Spagna)
 
Industria cantieristica nel Regno Unito
 
Industria alimentare in Francia
 
Industria tessile in Italia
 
La navicella spaziale Sojuz (qui al Cosmodromo di Baikonur in Kazakistan) è stata progettata dall’industria aerospaziale della Russia
 
Industria bellica in Germania

Per quanto riguarda le dimensioni si distinguono le grandi industrie dalle medie e piccole industrie.
In Europa ci sono molte grandi industrie, le quali hanno la sede principale (o centrale) in uno Stato e fabbriche anche in altre Nazioni: per questo si chiamano multinazionali. Sono industrie o gruppi di industrie (poiché spesso si tratta di aziende associate con altre aziende, che producono parti diverse di un “oggetto” che va assemblato) che hanno un enorme giro d’affari, cioè una grande quantità di prodotto venduto (calcolato non in numero di pezzi, bensì in moneta guadagnata); queste grandi industrie danno lavoro a migliaia di dipendenti in Stati diversi, ma la maggior parte dei profitti realizzati va a vantaggio del Paese in cui si trova la sede principale (che di solito è un Paese dell’area più industrializzata).
Le industrie di medie e piccoli dimensioni hanno un numero minore di dipendenti, i loro prodotti hanno una distribuzione più limitata (cioè non vengono venduti in tutto il mondo o in molti Paesi) e si trovano in tutti gli Stati europei.

Un’industria di medie dimensioni (produce caldaie) a Nantes (Francia)

Per quanto riguarda i materiali usati si distinguono gli impianti di base dalle industrie di trasformazione.
Gli impianti di base (presenti negli Stati ricchi di materie prime) sono industrie nelle quali si producono le materie prime utilizzate dalle altre industrie; a volte gli impianti di base attuano una prima trasformazione delle materie prime, producendo i cosiddetti semilavorati. Sono impianti di base:
- le industrie petrolchimiche, che producono materie plastiche in granuli
- i cementifici, che producono cemento dall’argilla e dal calcare
- le raffinerie, che usano il petrolio greggio per produrre benzina, nafta, cherosene
- le siderurgie, che usano i minerali di ferro per produrre lamiere e tubi d’acciaio.

Le industrie di trasformazione usano le materie prime prodotte o semilavorate dagli impianti di base, per ottenerne prodotti di qualunque tipo (vedi la tabella precedente). A volte il prodotto così ottenuto è finito e può essere venduto: ad esempio un’industria alimentare che produce la scatola di pasta, la bottiglia dell’olio, il vasetto di yogurt.
Altre volte il prodotto ha bisogno di un’ulteriore trasformazione prima di essere commercializzato: ad esempio l’industria tessile che produce una stoffa, che poi un’industria dell’abbigliamento trasforma in pantaloni, cappotti, maglioni.

Industria siderurgica in Turchia

Per quanto riguarda le tecniche di produzione si distinguono le industrie tradizionali da quelle ad alta tecnologia.
Per industrie tradizionali si intendono quelle industrie che esistono da molto tempo e che producono oggetti entrati ampiamente nella vita quotidiana: le industrie dell’abbigliamento, alimentari, chimiche, meccaniche eccetera sono tutte tradizionali ed usano una tecnologia ormai consolidata, anche se bisognosa di continui ammodernamenti.
Le industrie ad alta tecnologia sono quelle innovative nei macchinari usati, ma anche nei prodotti che vengono studiati e realizzati: i settori aerospaziali, informatico, delle biotecnologie, dei treni ad alta velocità, dei robot, laser, fibre ottiche, satelliti, fanno tutti parte delle industrie ad alta tecnologia.

Industrie nei Paesi Bassi

IL PAESAGGIO INDUSTRIALE

Fin dal Settecento la nascita delle industrie in Inghilterra ha comportato la costruzione di fabbriche, ossia di grandi edifici, cha hanno profondamente trasformato il paesaggio.
Le fabbriche sorgevano inizialmente in maniera caotica, anche all’interno delle città, ovunque ci fosse dello spazio a disposizione; poi con il tempo si cercò di costruirle vicino ad una miniera di carbone e nei pressi di un corso d’acqua, da poter usare per il trasporto di materie prime e merci. In seguito all’invenzione della locomotiva, le ferrovie poterono sostituire le imbarcazioni per lo stesso scopo. Frequentemente attorno alle fabbriche venivano costruite le case degli operai: si formavano così dei quartieri industriali, molte volte piuttosto degradati, là dove da secoli esistevano campi o foreste.

Una città industriale del XIX secolo

Attorno alla metà del XX secolo per i lavoratori delle industrie vennero costruiti dei quartieri operai, spesso fatti di grandi palazzi anonimi e tutti uguali, nelle periferie delle città; raramente i quartieri operai erano armoniosi e dotati di verde e di servizi.

Il distretto di Partizánske (in Slovacchia) è nato nel 1938-1939 per gli operai che lavoravano
in una locale fabbrica di scarpe

Oggi le abitazioni degli operai e di tutti coloro che lavorano nelle industrie non sorgono necessariamente vicino alle fabbriche, dato che si preferisce abitare in un centro urbano possibilmente tranquillo. Invece per le industrie vere e proprie, o per i laboratori artigianali, si costruiscono le cosiddette zone industriali, in apposite aree lontane dai centri abitati, formate da lunghe file di capannoni, disposti in serie l’uno accanto all’altro, ognuno con il piazzale per la sosta e la manovra degli autocarri che caricano e scaricano le merci e con il parcheggio per le vetture dei dipendenti. All’esterno di questi capannoni possono esserci delle cisterne per le materie prime e dei tubi metallici per la lavorazione. Il capannone è sempre circondato e protetto da un muro di cinta o da una recinzione metallica.

Zona industriale nella Pianura Padana (Italia)

Diverso è il paesaggio formato dagli impianti di base, che sorgono spesso all’estrema periferia della città o lungo le coste.
L’esterno è visibile da molto lontano, perché è formato da torri metalliche anche molto alte, da cisterne e da depositi, collegati tra loro da fasci di tubi di tutte le dimensioni e molto lunghi. Poiché l’impianto di base funziona a ciclo continuo, 24 ore al giorno, di notte l’esterno viene illuminato da migliaia di lampade, che rendono ancor più evidenti i fumi e i vapori scaricati nell’atmosfera.

Fabbriche in riva alla Senna a Rouen (Francia)

Tutto attorno asfalto e cemento si estendono per chilometri: strade che portano negli stabilimenti i camion con le merci e i dipendenti con la propria vettura o con i mezzi pubblici, piazzali per le merci, depositi e magazzini, parcheggi, circondano queste industrie, che sembrano delle moderne cattedrali, vaste, rumorose e inquinate.

In molte parti d’Europa si trovano aree industriali dismesse: a volte esse vengono lasciate in abbandono, con gli edifici cadenti e le tubature arrugginite; altre volte vengono recuperate e salvaguardate, o per farne in uso diverso, oppure come esempi di archeologia industriale e quindi trasformate in musei all’aperto, in ricordo di un’attività che ha interessato milioni di individui e che è cambiata enormemente nel giro di qualche decennio.

Industria abbandonata in Sardegna (Italia)

Crespi d’Adda (Lombardia – Italia) 
Un esempio di archeologia industriale divenuto patrimonio dell’Unesco




2 commenti:

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