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lunedì 4 gennaio 2016

34 Il pianeta Terra: la superficie


 IL PIANETA TERRA: LA SUPERFICIE

La superficie della Terra è coperta per il 70% da uno strato d’acqua, che forma oceani e mari: esso ha uno spessore massimo di circa 11 chilometri e circonda completamente le terre emerse. Queste non sono unite le une alle altre, ma formano alcune grandi masse continentali, ognuna delle quali è circondata dall’oceano:
- l’America, che per ragioni fisiche (la presenza di due grandi masse unite da un istmo relativamente sottile) viene anche distinta in America del Nord e America del Sud;
- l’Eurasia, che forma un blocco fisico unico, ma che per motivi storico-culturali viene distinta in Europa e Asia;
- l’Africa, un tozzo blocco terrestre unito all’Asia dal sottile istmo di Suez;
- l’Oceania, formata dalla grande massa dell’Australia, dalle isole della Nuova Zelanda e della Nuova Guinea (ma solo la parte orientale viene considerata appartenente a questo continente) e da una serie di isole minori sparpagliate nell’oceano;
- l’Antartide, la massa terrestre che ricopre il Polo Sud.


La presenza di questi continenti fa sì che la massa d’acqua sulla superficie terrestre venga distinta in 3 grandi oceani, collegati l’uno all’altro: il Pacifico, l’Atlantico, l’Indiano.


I continenti e gli oceani attuali, però, non hanno sempre avuto le forme attuali; per comprendere i cambiamenti avvenuti sulla superficie del nostro pianeta, bisogna considerare la composizione della Terra e in particolare della sua superficie, che è assai più complessa di quanto può apparire osservando un planisfero.
La Terra, infatti, non è omogenea, ma è formata da strati diversi: al centro vi è un nucleo (si distingue solitamente un nucleo interno da un nucleo esterno), che ha un raggio di circa 3.500 chilometri ed è in parte liquido e in parte solido; esso è circondato da uno strato dello spessore di quasi 3.000 chilometri chiamato mantello; più esternamente si trova la crosta terrestre, che ha uno spessore variabile tra i 4 e i 70 chilometri.


Le temperature degli strati più interni della Terra sono certamente molto più alte di quelle superficiali, ma non siamo attualmente in grado di misurarle e non conosciamo con sicurezza neppure la composizione del mantello e del nucleo; su di essi gli scienziati possono solo formulare ipotesi.
Conosciamo sicuramente meglio la crosta terrestre: sappiamo che non è uno strato uniforme, in quanto varia sia per la composizione, sia per lo spessore. In base a questi elementi vengono distinti due tipi di crosta terrestre: quella oceanica e quella continentale.
Essi però non coincidono perfettamente con le aree coperte dagli oceani o occupate dai continenti: mentre la crosta oceanica è completamente sommersa dall’acqua, quella continentale, anche se emerge in gran parte, presenta vaste aree sommerse, che prendono il nome di piattaforma continentale.


Come la crosta continentale, anche la crosta oceanica presenta dei rilievi, tra cui i più importanti sono le dorsali: esse si estendono per quasi 80.000 chilometri attraverso gli oceani. Nell’oceano Atlantico e nell’oceano Indiano esse si trovano ad uguale distanza dai continenti, nell’oceano Pacifico e nel Mar glaciale Artico esse hanno invece un andamento meno regolare. In alcune aree ristrette, dove esiste una notevole attività vulcanica, le dorsali possono emergere dal mare, come avviene in Islanda.

La dorsale medio-atlantica, che affiora nell’Islanda di sud-ovest nel parco nazionale di Þingvellir:
la spaccatura centrale divide la zolla nord-americana (a sinistra) da quella euroasiatica

Oltre alle dorsali sono presenti fosse, ossia delle depressioni che superano anche i 10 chilometri (la più profonda è la Fossa delle Marianne, che si trova tra Giappone e l’isola di Papua Nuova Guinea e raggiunge gli 11 chilometri); le fosse si trovano prevalentemente nell’oceano Pacifico e spesso vicino ad esse si sono formate delle isole disposte ad arco ed estese anche per molte centinaia di chilometri.

Disegno ricostruttivo della Fossa delle Marianne, della sua collocazione e della fauna che vi vive

Sappiamo da tempo che la crosta terrestre è soggetta a grandi movimenti di sollevamento e di abbassamento: ad esempio in prossimità della cima dell’Everest, la più alta montagna della Terra, sono state ritrovate rocce sedimentarie di origine marina, che dimostrano come questa zona un tempo fosse sommersa dal mare. Oggi gli scienziati collegano questi fenomeni agli spostamenti delle zolle (o placche) in cui è divisa la crosta terrestre; le principali sono una decina e comprendono intere masse continentali o parte di esse, quali le zolle nord’americana, sud-americana, eurasiatica, africana, indo-australiana, arabica, pacifica.
Nuove zolle si possono creare nel tempo per il frantumarsi di quelle esistenti: ad esempio la zolla africana si sta spaccando in due lungo una frattura, detta Rift Valley, che si sta allargando progressivamente.

Veduta aerea del lago Malawi (tra Malawi e Mozambico), il più meridionale dei laghi che si sono formati nella spaccatura della Rift Valley

Le zolle sono blocchi rigidi, che si spostano scivolando sulle masse fluidi sottostanti: questo fenomeno fu ipotizzato dallo scienziato tedesco Alfred Wegener, che formulò la teoria della deriva dei continenti in un libro pubblicato nel 1915. Tale teoria (nata dalla semplice osservazione della conformazione simile delle coste dell’Africa orientale e dell’America meridionale) è stata confermata da studi successivi ed oggi la teoria chiamata della tettonica a zolle ci dà le prove di questo movimento dei continenti e anche della sua velocità: sappiamo che attualmente l’America si allontana dall’Europa di circa due centimetri l’anno. Lo studio di alcune caratteristiche delle rocce ci ha permesso di comprendere anche quale fosse la disposizione dei continenti in passato: in particolare sappiamo che gli attuali continenti si formarono in seguito alla divisione, avvenuta oltre 200 milioni di anni fa, di un unico grande continente, che gli scienziati chiamano Terra di Gondwana.

Ricostruzione dei continenti 200 milioni di anni fa circa, quando il blocco della Terra di Gondwana cominciò a spezzarsi in masse più piccole

Sulle cause del movimento delle zolle esistono diverse ipotesi, su cui non tutti gli scienziati sono pienamente d’accordo. Sappiamo che questo movimento è reso possibile dal calore che si produce nel mantello terrestre e nel nucleo (per la presenza in essi di materiali radioattivi) e che porta alla fusione di alcune rocce e alla formazione di magma: il magma infatti è costituito da rocce fuse, in cui si possono a volte trovare frammenti di rocce allo stato solido e gas disciolti. Secondo molti scienziati al di sotto delle zolle si formerebbero vere e proprie correnti magmatiche, che provocherebbero lo spostamento delle zolle stesse; semplificando, si potrebbe dire che le zolle sono come delle gigantesche zattere mosse da un mare di magma.
Il materiale magmatico proveniente dal mantello può anche uscire in superficie. Ciò avviene in particolare lungo i margini oceanici delle zolle, dove la crosta terrestre è più sottile: qui il materiale che fuoriesce, ad alta temperatura e perciò fuso, si raffredda al contatto con l’acqua e forma nuove rocce. È in questo modo che si sono formate le dorsali oceaniche. Una riprova di questa ipotesi è data dal fatto che, poiché l’emissione di magma e il movimento delle zolle sono continui, lungo le dorsali oceaniche troviamo rocce di formazione molto recente, mentre man mano che ci si allontana dalle dorsali si incontrano rocce di formazione più antica.

Magma solidificato sul fondo dell’oceano; le dorsali sono formate da questo tipo di rocce

Se le dorsali, dunque, costituiscono i margini in accrescimento del nostro pianeta (cioè, per dirla in termini più semplici, gli spazi al margine di una zolla in cui nuovi rilievi si formano), le fosse oceaniche sono invece i margini consuntivi, cioè le zone in cui una zolla, spinta dalle correnti magmatiche, sprofonda fino a scomparire nel mantello. Dalla zolla che sprofonda, però, si staccano sedimenti che si accumulano ai lati della fossa, formando rilievi sottomarini che possono crescere fino ad emergere dalle acque e creando così gli archi di isole di cui si è detto prima.
Il movimento delle zolle e gli scambi continui di materia tra crosta terrestre e mantello sono all’origine della formazione delle montagne, dei fenomeni vulcanici e dei terremoti, che si manifestano nelle zone marginali delle placche.

L’isola di Simushir, cha fa parte dell’arcipelago delle Curili (Russia);
non solo l’arcipelago ha una forma ad arco, ma tutte le isole che lo compongono si caratterizzano
per la forma lunga e stretta, la presenza di vulcani e i frequenti terremoti


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