IL PIANETA TERRA: OROGENESI, VULCANI, TERREMOTI
L’orogenesi è l’origine del
rilievo sulla Terra. Essa dipende dai movimenti delle zolle, perché a causa di
questi movimenti le zolle si deformano, piegandosi e sollevandosi, e formando
così catene montuose.
Questi fenomeni sono assai
complessi e qui se ne può fare solamente un’esamina sintetica.
Le catene di montagne si possono
formare quando due zolle si avvicinano fino a scontrarsi. Quando una zolla si
sposta verso un’altra zolla, tutta l’aerea che c’è in mezzo viene a trovarsi
stretta tra due forze che esercitano una pressione crescente e si piega,
sollevandosi. È questa l’origine di alcune delle principali catene terrestri,
quali l’Himalaya.
Questa catena si formò quando la
zolla indo-australiana si avvicinò a quella asiatica, premendo su un’area
marina che si trovava tra le due zolle. La crosta oceanica, stretta tra le
zolle, si sollevò ad altezze sempre maggiori, fino a formare la catena
dell’Himalaya, che è la più elevata della Terra, con molte cime superiori agli 8.000 metri.
La scontro tra due zolle e la conseguente formazione di catene montuose
può essere esemplificato come in questo disegno, in cui qualcuno spinge l’una
contro l’altra le due pagine di un libro
Un’origine simile hanno le Alpi,
formatesi in seguito all’avvicinarsi della zolla africana a quella euroasiatica,
che provocò il sollevamento della crosta oceanica posta tra le due zolle
continentali.
Altre catene di montagne si
formano quando il margine consuntivo di una placca si trova nelle vicinanze di
una massa continentale. Le rocce della zolla che sprofonda, giunte in profondità,
si fondono parzialmente e il magma risale verso la superficie. Esso può formare
un arco insulare, come abbiamo visto nella lezione precedente, ma può anche
penetrare al di sotto della zolla vicina. Questa perciò si solleva, dando vita
a catene di montagne dette a cordigliera. La principale catena di questo tipo è
la Cordigliera delle Ande, che corre lungo tutta la costa sud-americana
dell’oceano Pacifico.
Disegno illustrativo del fenomeno che origina le cordigliere
Altre montagne infine sono di
origine vulcanica: anche la loro formazione è legata ai movimenti delle zolle.
Ne parleremo tra poco.
Il movimento delle zolle non crea
solo rilievi: esso provoca anche fratture nelle masse rocciose. Queste fratture
vengono chiamate faglie quando uno dei due lati della frattura scorre,
spostandosi rispetto all’altro: in questo caso rocce un tempo a contatto
possono trovarsi anche a grande distanza, verticale se uno dei lati della
faglia si solleva, oppure orizzontale se un lato scorre lungo la frattura.
Una delle principali faglie è
quella della Rift Valley, nell’Africa orientale, un’immensa fossa apertasi
negli ultimi trenta milioni di anni e nella quale si sono formati alcuni grandi
laghi. Molto conosciuta è la faglia di Sant’Andrea, che corre per 1.300 chilometri
nella California, delimitando due zolle che scorrono parallele e sono
periodicamente responsabili di disastrosi terremoti.
Una veduta aerea della faglia di Sant’Andrea in California (U.S.A.)
Non tutta la superficie di una
zolla è soggetta a piegamenti e sollevamenti: questi si verificano soprattutto
nelle aree marginali, dove sono frequenti i terremoti e dove spesso ci sono
numerosi vulcani; invece vaste aree interne possono rimanere stabili per
centinaia o migliaia di milioni di anni. Tali aree vengono spesso chiamate
scudi, o cratoni: è il caso della parte interna del Nord America (scudo
canadese) e dell’Europa nord-orientale (scudo baltico).
Le terre emerse sono soggette
all’erosione, provocata dall’acqua piovana, dai fiumi, dal gelo, dal ghiaccio,
dal vento, dai movimenti del mare. L’erosione abbassa le cime dei monti di
circa 0,1 millimetri
l’anno. Se l’orogenesi avvenisse alla medesima velocità, non si potrebbero
formare catene montuose, perché esse verrebbero spianate man mano che si
formano. La velocità di formazione delle montagne nei margini di accrescimento
della crosta terrestre è invece assai maggiore, potendo anche superare i 15 millimetri l’anno.
Monti erosi dall’acqua piovana in Madagascar
L’attività vulcanica sulla Terra
avviene principalmente ai margini delle zolle, dove ha origine il magma che
risale dal mantello fino alla superficie. Insieme al magma, che forma la lava,
vengono emessi cenere, vapori e gas. La lava e la cenere si depositano,
fuoriuscendo, intorno al cratere e si accumulano, formando un cono vulcanico
che può raggiungere altezze considerevoli, come nel caso di alcuni vulcani
delle isole Hawaii o il Kilimangiaro, che con i suoi 5.895 metri costituisce
la maggiore cima dell’Africa.
Il cratere del Kilimangiaro (Tanzania), che data l’elevata altitudine è
ricoperto da un ghiacciaio perenne
I monti vulcanici hanno un
cratere (o bocca) principale ed altri crateri secondari, collegati da un
condotto naturale, il camino, alla camera magmatica, ossia il deposito
sotterraneo di magma.
La struttura interna di un vulcano
Oltre ai vulcani situati ai
margini delle zolle, ve ne sono altri all’interno delle zolle stesse. Secondo
gli scienziati essi si trovano in corrispondenza di punti caldi del mantello
terrestre, in cui il magma risale da grandi profondità. Sono vulcani di questo
tipo quelli hawaiani, delle isole Azzorre, delle Canarie e di molte altre isole
dell’Atlantico e del Pacifico. Molti di questi vulcani sono sottomarini e non
sono perciò visibili, ma essi si innalzano spesso fino a 2.000 metri al di sopra
del fondo marino: nell’oceano Pacifico vi sono più di diecimila vulcani
sommersi.
Alcuni monti vulcanici sono ormai
inattivi; altri invece sono ancora attivi, ma la loro attività non è continua:
alcuni possono non dare segno di attività per centinaia di anni, per poi
risvegliarsi con eruzioni violente.
In base alle caratteristiche
della lava e al modo in cui viene espulsa, possiamo distinguere diversi tipi di
eruzioni vulcaniche. I vulcani detti di tipo hawaiano hanno eruzioni effusive,
quasi continue, con emissione di lava molto fluida, che esce e scende lungo i
fianchi del cono vulcanico, formando torrenti che si solidificano
progressivamente. Questo tipo di eruzione, non essendo né violento, né
improvviso, non presenta particolari pericoli.
La lava che fuoriesce da un vulcano hawaiano giunge fino all’acqua dell’oceano,
dove si raffredda e si solidifica
Quando invece la lava ha una
consistenza maggiore, per cui tende a ostruire il camino vulcanico, si possono
avere eruzioni esplosive, che possono essere sia di piccola portata, sia di
dimensioni eccezionali; in quest’ultimo caso l’eruzione, violentissima ed
improvvisa, può distruggere intere città, come successe nell’isola caraibica di
Martinica, nel 1902, quando una valanga di cenere e gas emessa dal vulcano la
Pelée seppellì la città di Saint Pierre con i suoi 30.000 abitanti.
L’eruzione del vulcano la Pelée nel 1902, in due foto d’epoca
Ugualmente pericolosa è
l’eruzione di tipo vesuviano, anch’essa esplosiva: il magma viene scagliato
nell’atmosfera sotto forma di lapilli, cioè frammenti solidi.
Oltre alle distruzioni provocate
nelle aree vicine, le eruzioni vulcaniche particolarmente violente possono
portare ad un abbassamento della temperatura su tutto il pianeta, se le
particelle emesse raggiungono la stratosfera, ossia il secondo strato
dell’atmosfera a partire dalla superficie: tale fenomeno si verificò nel 1818, in conseguenza
dell’eruzione, avvenuta tre anni prima, del vulcano Tambora, nelle isole della
Sonda.
Nel 1833, invece, l’esplosione
del Krakatoa (ancora nelle isole della Sonda) provocò un’onda alta quaranta
metri, che si riversò sulle coste asiatiche per una lunghezza di alcune
centinaia di chilometri, provocando circa 36.000 morti.
Eruzione del vulcano Puyehue-Cordon
Caulle (Cile) nel 2011, dopo oltre 50 anni di inattività
Esistono altri fenomeni associati
al vulcanesimo. Tra questi vi sono i geyser, che sono delle sorgenti
intermittenti, che si creano in aree in cui il magma si trova relativamente
vicino alla superficie (5-10
chilometri di profondità) e le rocce sotterranee hanno
perciò una temperatura molto elevata. L’acqua presente in profondità, a
contatto con le rocce ad alta temperatura, si surriscalda, ma non si trasforma
in vapore a causa della pressione dello strato superficiale di acqua, meno
caldo. Progressivamente, però, la pressione dello strato più profondo di acqua,
a temperatura sempre maggiore, spinge verso l’alto l’acqua superficiale,
facendola traboccare. Quando una parte dell’acqua di superficie esce, la
pressione che essa esercita sulla colonna d’acqua in profondità diminuisce
improvvisamente, cosicché l’acqua in profondità comincia a bollire e si crea
una colonna di vapore che spinge con violenza tutta l’acqua superficiale al di
fuori del condotto. Dopo l’emissione di acqua e vapore il geyser diviene
inattivo, ma l’acqua torna a riempire il deposito sotterraneo e il ciclo si
ripete fino a una nuova eruzione. Il fenomeno dei geyser è diffuso nell’Islanda
e nell’America settentrionale (parco di Yellowstone).
Un’eruzione del geyser Old Faithful nel Parco di Yellowstone; questo
geyser erutta con una certa regolarità una volta ogni 65-92 minuti
Altri fenomeni di tipi vulcanico
sono le emissioni di vapori, come le fumarole, le solfatare, le sorgenti calde
e i soffioni boraciferi.
Poiché, come abbiamo visto, i
vulcani si trovano principalmente ai margini delle zolle, sul nostro pianeta vi
sono delle aree particolarmente ricche di vulcani:
- la cosiddetta Cintura di fuoco
del Pacifico (posta tutto attorno a tale oceano), ai margini delle zolle
sud-americana, nord-americana, euroasiatica, filippina e indo-australiana;
- lungo le dorsali oceaniche
- al margine inferiore della
zolla euroasiatica, dove essa si trova a contatto con le zolle ellenica,
arabica e indo-australiana
- lungo le grandi faglie, in
particolare la Rift Valley africana.
Carta delle maggiori zolle presenti sulla Terra
(si noti attorno alla
zona colorata in giallo a sinistra la Cintura di Fuoco, che interessa tutta
la
costa orientale asiatica e quella occidentale del Nord America)
I terremoti (o sismi) sono
vibrazioni rapide ed improvvise della crosta terrestre: possono provocare
scosse sussultorie (con un movimento dall’alto al basso) o scosse ondulatorie
(con movimento orizzontale) e la loro durata può variare, pur essendo di solito
molto breve: alcuni secondi o al massimo decine di secondi. Si possono però
avere più scosse a breve distanza l’una dall’altra.
I terremoti avvengono a
profondità molto diverse, anche 700 chilometri al di sotto della superficie
terrestre. In un anno si hanno circa 800.000 scosse (che vuol dire, in media,
più di 2.000 scosse al giorno!), ma noi percepiamo solo i terremoti più forti
che si verificano vicino alla superficie: quando l’ipocentro (il punto da cui
hanno origine le vibrazioni) è situato a grande profondità, il terremoto può
essere rilevato solo dai sismografi, gli strumenti che misurano i movimenti del
terreno. Il terremoto ha un’intensità massima nell’epicentro, il punto della
superficie più vicino all’ipocentro. Man mano che si allontano dall’epicentro,
le scosse perdono d’intensità. Se l’epicentro è situato sul fondo marino o
vicino alla costa, si può avere un maremoto (oggi chiamato internazionalmente
tsunami), cioè un violento scuotimento delle acque marine, che provoca onde
gigantesche. Nel 2004 un violentissimo maremoto ha colpito l’intero sud-est
asiatico, dopo che un terremoto si era originato al largo dell’isola di Sumatra
(Indonesia): in quell’occasione terremoto e conseguente tsunami hanno provocato
dalle 230 alle 280.000 vittime.
Veduta satellitare della costa indonesiana prima e dopo lo tsunami del
2004
In base alle registrazioni dei
sismografi viene calcolata l’energia prodotta dal terremoto, secondo la scala
dello scienziato Richter, con valori (magnitudo) da 0 a 8: maggiore è la magnitudo,
maggiore è l’energia prodotta dal sisma. Tale sistema di misurazione ha
sostituito la scala Mercalli, meno precisa, che misura l’intensità del
terremoto in base alle sue conseguenze visibili.
Come i fenomeni vulcanici i
terremoti sono legati ai movimenti delle zolle e dipendono dalle stesse forze.
Essi si originano quando una zolla sprofonda o entra in collisione con
un’altra, oppure quando il magma risale in superficie, generando pressioni
fortissime. Perciò i terremoti di verificano ai margini delle zolle e nelle
aree di frattura, perciò sono particolarmente frequenti nelle stesse regioni
della superficie terrestre in cui sono concentrati anche i vulcani.
Le conseguenze dei terremoti
dipendono ovviamente dalla loro natura ed intensità e dalle caratteristiche
degli insediamenti umani nella regione colpita.
Terremoti di lunga durata o in
cui si manifestano scosse sia sussultorie, sia ondulatorie, sottopongono gli
edifici a tensioni molto forti, provocandone facilmente il crollo. Terremoti
particolarmente intensi possono radere al suolo intere città, come a Messina
nel 1908 (il 91 % delle abitazioni venne distrutto e ci furono 80.000 morti, o,
secondo altre valutazioni, 100.000).
Un’immagine di Messina dopo il terremoto del 1908
Per ridurre le conseguenze dei
terremoti, in tutte le zone colpite con maggiore frequenza gli edifici vengono
progettati secondo criteri particolari, detti antisismici: nelle costruzioni si
fa uso di cemento armato, che si ottiene incorporando barre di ferro o acciaio
nel cemento, perché gli edifici così costruiti sono in grado di resistere
meglio a scosse violente, mentre gli edifici interamente in muratura o in
pietra crollano più facilmente. In questo modo i danni provocati da terremoti anche
violenti possono essere molto ridotti: è quanto avviene in Giappone, paese ad
elevata sismicità. Qui, nella regione del Tōhoku (nella parte nordorientale
dell’isola di Honshu), nel 2011 si è verificato il terremoto più intenso
registrato in Giappone, che ha provocato più di 15.000 vittime, la gran parte
delle quali è morta come conseguenza dello tsunami che è stato generato dal
sisma; molte abitazioni sono state comunque distrutte, segno che anche
costruire secondo criteri antisismici non assicura completamente di evitare gli
effetti di un terremoto. Questo sisma (come altri di particolare intensità) ha
avuto conseguenze sull’intero pianeta: per esempio l’asse terrestre (l’asse
attorno al quale la Terra ruota su se stessa) si è spostato di circa 17 centimetri.
Lo tsunami del Tōhoku nel 2011
Effetti del terremoto/ tsunami
del Tōhoku